Come far nascere un fegato dalla pelle

Lo straordinario risultato di alcuni scienziati americani che hanno scoperto un metodo “scorciatoia” per la riprogrammazione cellulare.

La medicina rigenerativa, è noto, costituisce una delle strade più promettenti per il futuro terapeutico di innumerevoli patologie: ciononostante le difficoltà intrinseche alle tecniche di riprogrammazione cellulare sono ancora ben lungi dal’essere superate del tutto, costituendo ancora un grosso ostacolo per svolte che, con tutta probabilità, vedremo soltanto tra qualche anno. Tuttavia, poiché la scienza è fatta di piccoli passi, capita di tanto in tanto di poter assistere ad interessanti innovazioni: l’ultima in questo campo proviene dai ricercatori del Gladstone Institute of Cardiovascular Disease e dell’Università della California presso San Francisco e consiste in una nuova tecnica per realizzare la conversione di cellule del derma in epatiche, attraverso un metodo che garantisce risultati migliori di quanto è stato possibile ottenere fino ad ora.

Gli studiosi hanno reso noti i dettagli del proprio lavoro in un paper pubblicato da Nature, spiegando in che modo hanno inciso sul problema di partenza, proponendo una soluzione che al momento appare funzionale. La trasformazione di cellule adulte in staminali pluripotenti indotte si avvale di una tecnica già ben nota alla scienza che, però, presenta alcune difficoltà, variabili in base alla tipologia di cellula che si punta ad ottenere: con gli epatociti erano stati già evidenziati dei problemi che riguardavano la maturazione poiché tali cellule del fegato non portavano a termine la propria trasformazione e, in vivo, risultavano incapaci di svolgere le complesse funzioni richieste da esse.

Saiyong Zhu e i suoi colleghi hanno così deciso di prendere una strada più rapida e vedere quali potevano essere gli esiti: partendo sempre da fibroblasti prelevati dal derma hanno scelto di riprogrammarle portandole ad uno stadio di sviluppo intermedio, in luogo di quello di staminali pluripotenti. La tecnica ha consentito alle cellule di “ringiovanire” fino allo stato dell’endoderma, ossia il foglietto embrionale dal quale si originano diversi organi, ghiandole ed apparati (tra cui naturalmente il fegato) e che si forma all’inizio della terza settimana di vita nell’utero. Insomma, cellule giovani ma non bambine che, successivamente, sono state indotte a trasformarsi in epatociti per poi essere impiantate in alcuni topolini immunodeficienti (al fine di non incorrere nel rischio di rigetto) con insufficienza epatica, dopo averne verificato maturazione e proliferazione in vitro. Due mesi più tardi le cellule umane negli organismi murini dimostravano di aver portato a termine la propria maturazione e di essere funzionanti mentre in nove mesi l’incremento è arrivato a valori di equilibrio tali da decretare il successo dell’esperimento, almeno per questa primissima fase. Inoltre, hanno sottolineato i ricercatori, il fatto che non si siano verificate formazioni tumorali sarebbe da mettere in correlazione, assai probabilmente, proprio con il mancato stadio di pluripotenti: un altro risultato positivo che apre ad un timido spiraglio per il futuro.

Il problema delle liste d’attesa per i trapianti, infatti, è ben conosciuto e tristemente presente in tutti i Paesi: la disponibilità di organi non è in grado di costituire una risposta adeguata alla domanda che, di conseguenza, cresce sempre di più, prolungando ulteriormente i tempi della sofferenza e della terapia di quanti sperano in un intervento risolutivo. Ecco perché la strada che sempre più sta cercando di intraprendere la medicina di domani è quella della messa a punto di veri e propri “pezzi di ricambio” che intervengano a sostituire l’organo danneggiato e non funzionante, evitando anche al paziente le eventuali complicazioni dovute al rigetto.

Tratto da www.fanpage.it ©

Nadia Vitali, 26 Febbraio 2014