“Sogno una città nuova che dia certezze e serenità”
Spesso si usa oggi il privativo “senza” quasi per nascondere una realtà evidentissima della quale sembriamo aver tragicamente accettato la fase dell’assuefazione. Parliamo dei “senza fissa dimora”, dei “senza casa”, del “senza lavoro” o dei “senza affetti”, dei “senza famiglia”, dei “senza patria”, quasi ad esorcizzarne la loro tragica condizione. E la politica, sfuggendo il lessico corretto e rinunciando a svolgere una virtuosa Politica Sociale, non parla più di “vagabondi”, “sfrattati”, “disoccupati”, “disadattati”, “poveri”; arriva persino ad inventarsi il neologismo “esodati” (con un incespicante richiamo biblico) per (non)definire la tragedia di chi è stato tradito dalla legge e dal diritto e che possiamo,a buon titolo, definire: “senza pensione”.
Sappiamo, invece, -tutti e “senza alcun dubbio”- che la situazione dei “senza” è al limite della disperazione e ad un passo dal precipitare nella disgrazia, ma siamo tacitamente portati a credere che il loro problema non sia nostro ed anzi che si possano -talora con bieco cinismo- utilizzare i loro bisogni manifesti, che li pongono in una condizione di dipendenza, per guadagnare un facile e peloso consenso elettorale. Sì, la politica sfugge, nasconde, altera; non morde il problema: si nasconde in luoghi comuni, si alimenta di fatue promesse, disegna fantasie e vende sogni. E ritorna – indefessa e spocchiosa- la vanità celebrativa dei suoi riti e del suo linguaggio, che tenta ancora, mistificando il suo ruolo, di ovattarne il declino proponendo medicamenti che, al massimo, possono essere considerati dei malandati placebo.
Eppure sa! Il quadro dirigente della politica cittadina, in tutte le sue articolazioni, sa che è ora di raccogliere la sfida dei tempi nuovi che incombono e per affrontare i quali siamo in palese ritardo. Ma anche in tutte le articolazioni sociali si ha piena consapevolezza dei bisogni della nostra città e sappiamo bene -tutti noi- che, per uscire dalla stagnazione economica, sociale e civile in cui ci troviamo, è impellente la necessità di inserire il nostro territorio in un progetto di sviluppo capace di rigenerare l’economia e produrre un benessere diffuso. Perché allora non chiedere alla Politica di andare oltre, di osare e di investire in un progetto più ampio e condiviso che possa essere il volano della rinascita della nostra città? Questa è la domanda alla quale la politica non può più sottrarsi ed alla quale deve una risposta. Ecco, è sul “progetto di Città” che vorrei discutere; sul senso della Comunità e sulla condivisione dei bisogni dei più deboli; vorrei riflettere sulla nostra storia e del futuro dei nostri figli che vorrei vivessero qui, scongiurando la diaspora generazionale, per segnare ancora nel tempo la nostra specificità culturale; vorrei ragionare sull’utilizzo armonico e sostenibile del nostro territorio…
Eppure questa interminabile campagna elettorale che sembra certificare l’esanime decadimento della Politica e che ha sempre più l’insipido sapore della resa dei conti fra le diverse parti politiche, parla d’altro: il linguaggio è l’invettiva e il dileggio; la migliore riflessione si disperde nel manicheismo di maniera; la Logica, il Pensiero, le Virtù sono timidamente presenti ma soffocate dalla spasmodica ricerca del consenso che dovrà tornare utile alle prossime elezioni e che, puntualmente, si rivela solo utile a se stesso. Vorrei! Vorrei che riflettessimo meglio tutti, vorrei che quanti hanno i Talenti e le Virtù li mettessero a disposizione per discutere, pensare, progettare e realizzare insieme una Città nuova. Una Città che abbia nel suo intimo il senso vero della comunità, che viva pensando all’uomo, che dia certezza ai suoi giovani e serenità agli anziani, che sia un luogo civile in cui abitare, lavorare e vivere serenamente la nostra vita. Sì, vorrei. Vorrei che non fosse un sogno.