Dalla metafora al problema reale
Se il vento che gonfia le vele di una Comunità che vuole investire nel Bene Comune per il presente e per le generazioni che verranno, diventa, fuori metafora, l’anima di ogni sua azione, perché acquisisca efficacia, non può prescindere da due condizioni fondamentali : essere coscienza nel senso della consapevolezza di sé, e appartenere, anche se non nella stessa misura, a tutti i ceti sociali. Intendo dire che l’anima o soffio vitale di una Società che si sente Comunità deve poggiare la sua sussistenza nel Bene Comune, e che questa sussistenza, acquisita o indotta (è questa la sfida di chi si è imposto al governo della Città) sia elemento di coesione per tutti. Parole oscure, ma per rendere il concetto più chiaro, provo a sviluppare il ragionamento.
Il nostro Bene Comune come Algheresi, è la nostra Città : appartiene a tutti, e proprio perché tale, non appartiene in particolare a nessuno; ma se noi osserviamo le cose dell’Alghero che viviamo tutti i giorni, ci rendiamo conto che questa è una pura enunciazione di principio: per due evidenze inoppugnabili; l’una, per evidenti ragioni prerogativa di pochi, garantita dall’arroganza del denaro unita all’abuso di potere, che ha permesso l’occupazione della Città e del suo territorio, sino all’ipotesi di un PUC servo di questo interesse esclusivo e ristretto, che declina i destini del Territorio, costruito e non, ad uso e consumo della produzione di denaro; l’altra, comune alla maggior parte degli Algheresi, come me e come Voi, che ragiona, più o meno, così : Alghero è il Bene Comune che ci appartiene, a nessuno nello specifico, ma a tutti; il suo uso è gratuito, immediato, da secoli a disposizione di tutti, inesauribile, indipendentemente dalla mia responsabilità e volontà personale; vale a dire che è pressoché eterno; e quindi lo uso e ne godo perché è anche mio, e se, per assurdo (è eterno perdinci), dovesse venir meno nelle sue peculiarità, non avrei senso di colpa alcuno : è un Bene Comune, di tutti, ci pensino tutti. E’ questa la storia comune del Pianeta di questi ultimi cinquant’anni. Ma non perché la storia ultima di Alghero coincide con la storia della Terra, dobbiamo rassegnarci alla decadenza, senza tentare manovre di inversione; ed è qui che entra in gioco la coscienza personale, l’anima individuale che genera il vento del cambiamento: le Nazioni del Mondo possono editare mille Protocolli di Kyoto, ma solo quando cambierà la mia coscienza ed il mio stile di vita, solo allora essi potranno vantare efficacia; se la caldaia del Condominio in cui abito continuerà a bruciare gasolio per garantire temperature estive negli appartamenti che lo compongono, Kyoto è proprio lontana quanto è lontano il Giappone; solo quando mi renderò conto che l’inverno si può combattere con gli abiti adeguati o che, al limite, possono essere utilizzate energie alternative per rendere più agevoli le difficoltà climatiche di ogni genere, solo allora potrà iniziare il cambiamento che salverà il mondo.
Tornando alla salvezza del nostro Bene Comune che è l’unico investimento per il quale val la pena di votare, cambiare Sindaci, designare aggregazioni di volta in volta diverse, salvo poi trovarci con le solite braghe di tela, dobbiamo cambiare per forza di cose l’intendimento reale di ‘Bene Comune’, e capire che solo se esso appartiene a tutti e tutti se ne curano, solo allora quell’aggettivo darà un senso compiuto ad una locuzione altrimenti astratta e perennemente utopica. In che senso? Nel senso che Alghero come Bene Comune è un luogo preciso ma non solo un luogo: è soprattutto il legame sociale che rende possibile la vita di una Comunità, e di conseguenza le vite individuali di coloro che formano la Comunità, attribuendo alle singole vite uguale dignità ed uguale importanza. Questa è l’etica del Bene Comune e l’impegno politico e la sua etica sono chiamati a realizzare esattamente questo disegno. Ed è solo in questa dimensione che Alghero potrà diventare Bene realmente Comune. Questa prospettiva ci obbliga a proporci la problematica resa evidente all’inizio del ragionamento: può la nostra Città chiamarsi ‘Bene Comune’, ‘occupata com’è dal denaro che produce altro denaro per pochi, e banalizzata dalla stragrande maggioranza degli altri Abitanti che sopportano lo stravolgimento dei luoghi e del
lascito garantito dalle generazioni che ci hanno preceduto? Ancora: è possibile che il denaro, ad Alghero, possa essere utilizzato esclusivamente per costruire, e non possa invece essere impiegato in modi alternativi che servano ad introdurre un percorso culturale diverso anche per le categorie tradizionalmente e per antonomasia lontane dal concetto di Alghero Bene realmente Comune appena individuato? Ancora: è possibile che gli Imprenditori Algheresi non siano in grado di impiegare altrimenti le proprie risorse, lasciando che appalti milionari di vario genere siano appannaggio esclusivo di imprese esterne e lontane dal tessuto economico della Città?
Mi rendo perfettamente conto di proporre un percorso di dialogo per un verso ‘eretico’, dal momento che suggerisco metodi di impiego dei capitali totalmente alternativi rispetto alle tradizioni di questa Città, e per altro verso arbitrariamente ingerente nei confronti di chi può utilizzare i propri capitali come meglio gli aggrada. Ed in effetti queste domande dovrebbe porsele il Sindaco, il quale, ancora fresco del suo passato in Confindustria, potrebbe trovare gli accordi giusti per intavolare ed impostare questioni così importanti dall’alto del suo ruolo. Alla prossima.