Dna antico, dai giganti di Monte Prama ai francobolli dell’800

Gli studi del laboratorio di Bioarcheologia, fiore all’occhiello dell’Università di Sassari.

Può essere considerato uno dei laboratori all’avanguardia a Sassari e per i suoi studi sul Dna antico rappresenta il fiore all’occhiello dell’Ateneo turritano. È il laboratorio internazionale di Bioarcheologia per lo studio del Dna antico del dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Sassari. La struttura, coordinata dal docente di microbiologia Salvatore Rubino, dall’ immunologo e visiting professor David Kelvin e dal docente di anatomia Vittorio Mazzarello, da anni si occupa di ricerche multidisciplinare che vedono una proficua collaborazione tra archeologi, microbiologi, biologi molecolari, antropologi, anatomici, storici della medicina, la Soprintendenza per i Beni Archeologici e le diverse istituzioni collegate agli scavi.

Attualmente il Laboratorio è impegnato nelle operazioni di scavo che gli archeologi Raimondo Zucca, Paolo Bernardini ed Alessandro Usai stanno portando avanti a Monte Prama. Le archeologhe Emanuela Sias, dottoranda di ricerca in bioarcheologia, e Barbara Panico stanno attualmente scavando alcune tombe, dalle quali prelevano i campioni biologici su cui effettuare analisi di tipo microbiologico e di metagenomica. Lo studio tafonomico delle tombe vede coinvolti gli antropologi del Museo Pigorini di Roma Luca Bondioli e Claudio Cavazzuti.

Il laboratorio collabora con prestigiosi istituti eccellenze nel campo delle ricerche sul DNA antico e sulla bioarcheologia, quali l’University Health Network di Toronto, Canada; la Shantou University, Cina; l’Università di Tubingen, Germania, l’Università di Zurigo e Ginevra, Svizzera, l’Università dei Paesi Baschi, Vitoria, Spagna e la sezione di antropologia del Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini di Roma.

Numerose le linee di ricerca che si stanno sviluppando a partire dalla prima esperienza iniziata nel 2011 che ha riguardato lo studio della cripta della chiesa di Sant’Antonio Abate in Castelsardo, una vera capsula del tempo, all’interno della quale sono state rinvenute le famose mummie. Nello scavo eseguito dagli archeologi Franco Campus, Luca Sanna, Maria Antonietta Demurtas sono state messe a punto, in collaborazione con Nikki Kelvin, bioarcheologa (attualmente dottoranda di ricerca sotto la supervisione del Prof. Marco Milanese), strategie innovative per una ricerca bioarcheologica mirata alla preservazione dei campioni utilizzabili per lo studio del DNA antico, eliminando le contaminazioni con il DNA moderno.

Le mummie sono state studiate da Paola Delaconi e altri ricercatori, nel laboratorio di Paleoantropologia diretto da Andrea Montella, con nuove tecniche di immunofluorescenza attraverso le quali è stato possibile evidenziare nei tessuti mummificati le proteine della cute. Alcune patologie sono state evidenziate dagli studi radiologici diretti da Gianni Meloni. Sono stati eseguiti studi sulla presenza di Bacilli sporigeni da Bianca Paglietti ed è stato inoltre sequenziato, in Spagna da Javier Garaizair, Joseba Bikandi e Giulia Ganau, il DNA di un ceppo sporigeno di origine marina (Oceanobacillus). Sui campioni di materiale prelevato nella cripta, formato dalla terra di riporto e dalla decomposizione dei corpi, è stata applicata, per la prima volta al mondo, la tecnica della metagenomica in un contesto archeologico. Manuela Murgia e il bioinformatico Massimo Deligios, attraverso questa metodologia, hanno ottenuto una fotografia del contenuto totale di DNA, sia batterico che eucariotico, nelle varie unità stratigrafiche formatisi nella cripta nel corso di circa 300 anni. La datazione è stata determinata grazie alla presenza di frammenti ceramici studiati da Laura Biccone e di numerose medagliette votive studiate da Alessandro Ponzeletti.

Di grande interesse lo studio di Patrizia Marongiu e Claudia Viganò, attualmente dottoranda di ricerca all’Università di Zurigo, sull’identificazione nei denti, attraverso tecniche molecolari, dell’agente responsabile della peste, il batterio Yersinia pestis e del Plasmodio, responsabile della malaria. Importanti per approccio completo, le ricerche di Archivio effettuate in collaborazione con Don Francesco Tamponi, incaricato regionale dell’Ufficio dei Beni culturali, nell’Archivio Diocesiano di Tempio-Ampurias, che hanno permesso di avere informazioni sulla mortalità a Castelsardo in quel periodo storico.

Dato l’interesse suscitato dagli studi sulla Cripta, Salvatore Rubino e l’équipe internazionale dei suoi collaboratori, ha ampliato i suoi interessi con una serie di altri progetti. È stato parzialmente sequenziato il DNA del cardo mariano, utilizzato come protettore del fegato, i cui semi sono stati ritrovati, dal gruppo da Marco Rendeli e da Elisabetta Garau, in un vaso rinvenuto all’interno di una capanna-ripostiglio nel villaggio del Nuraghe di Sant’Imbenia.

In ambito nuragico sono stati inoltre analizzati con la metagenomica e il sequenziamento, eseguiti con le attrezzature del Centro Porto Conte Ricerche, i contenuti di alcuni vasi ritrovati negli scavi presso il Nuraghe Palmavera, diretti da Albero Moravetti, con la collaborazione degli archeologi Elisabetta Alba e Luca Doro che hanno dimostrato la presenza di DNA bovino nel contenuto dei vasi. Sono in corso inoltre studi sul DNA dei contenuti di vasi di epoca nuragica conservati presso il Centro di Restauro di Li Punti.

Parallelamente è stato portato avanti lo studio sul DNA umano antico, estratto dalla polpa dei denti di alcuni inumati di diversi periodi storici provenienti da scavi di Tombe dei Giganti nel Nord Sardegna, coordinati da Angela Antona, dagli scavi del periodo punico di Monte Sirai, coordinati da Michele Guirguis e dagli scavi della necropoli romana di Monte Carru (Alghero), effettuati da Alessandra La Fragola. Gli studi sul DNA antico vengono condotti in collaborazione con il laboratorio antropologico del Centro di Medicina evoluzionistica dell’Università di Zurigo, diretto da Frank Rühli.

Di grande interesse sono risultati i dati sulle analisi del materiale provenienti dalle latrine del Palazzo Ducale di Sassari, prelevato durante gli scavi delle “Cantine del Duca”, condotti da Daniela Rovina con la collaborazione di Mauro Fiori. Attraverso le tecniche di parassitologia classiche e con la metagenomica sono stati identificati da Daniela Chessa e Piero Cappuccinelli i parassiti che infestavano i sassaresi della seconda metà del Settecento.

Un altro interessante filone di ricerca riguarda il sequenziamento del DNA antico di tonno. Antonio Speziga, nella sua tesi di laurea, ha isolato il DNA antico di tonno da reperti ossei di vertebre, provenienti da contesti archeologici riferibili al periodo romano imperiale e da una Tonnara del Golfo dell’Asinara attiva dai primi anni del 1600. Mediante l’utilizzo di metodiche di biologia molecolare, è stato possibile isolare la specie di appartenenza, Thunnus thynnus. Lo studio ha visto la collaborazione degli zooarcheologi Barbara Wilkens e Gabriele Carenti e della biologa Ilaria Borghetto. I risultati della ricerca saranno esposti nel nuovo Museo della Tonnara di Stintino.

Nell’ambito delle celebrazioni del centenario della Prima Guerra mondiale e di un progetto che vede capofila il Comune di Stintino, con la collaborazione del Comune di Porto Torres, del Parco dell’Asinara, di istituzioni governative della Serbia e l’Università di Belgrado, sono iniziate le ricerche per individuare le malattie che hanno ucciso i prigionieri austro-ungarici, presenti sull’Isola dell’Asinara tra il 1915 e il 1916, utilizzando materiali biologici provenienti dall’ossario. Sono inoltre in programma degli scavi archeologici, diretti da Gabriella Gasperetti della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Sassari, che interesseranno le aree delle latrine e dei cimiteri adiacenti ai campi di prigionieri e identificati grazie alle mappe scoperte da Assunta Trova nell’Archivio dell’Istituto di Sanità e di recente pubblicati dalla casa editrice Edes. Queste ricerche vedranno il coinvolgimento del direttore del Parco dell’Asinara Pier Paolo Congiatu, dello storico della Medicina Bernardino Fantini e degli studiosi Maura Fiamma e Paolo Greco.

Un progetto singolare è quello della ricerca del DNA nei francobolli risalenti al periodo tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, finalizzato all’identificazione di eventuali patogeni presenti nella saliva. Il progetto è condotto insieme all’équipe di Johannes Krause, divenuto uno dei più famosi bioarcheologi del mondo grazie agli studi sulla sequenza del DNA dell’Uomo di Neanderthal e dell’Uomo di Denisova.

 

10 Ottobre 2014