L’ex caserma in piazza Pino Piras diventa RES PUBLICA. Intervista all’associazione Malerbe, anima del progetto
In molti si saranno accorti che l’ex caserma in piazza Pino Piras ha subìto da qualche tempo una colorata e fantasiosa metamorfosi. Siamo andati a conoscere da vicino lo spazio ribattezzato RES PUBLICA e gli artefici di questa trasformazione.
«La res publica è cosa del popolo; e il popolo non è un qualsiasi aggregato di gente, ma un insieme di persone associatosi intorno alla condivisione del diritto e dell’opportunità». Così Cicerone spiegava il concetto di res publica, “cosa del popolo”, nel suo trattato politico De re publica, appunto. Che si sia scelta questa definizione latineggiante per indicare gli spazi dell’ex caserma dei carabinieri in piazza Pino Piras, non dev’essere certo un caso. Anche gli algheresi meno attenti si saranno accorti che, da qualche mese, proprio quegli spazi sono vissuti, animati e colorati da un imprecisato numero di persone, associazioni, volontari.
In tanti si sono avvicinati, sono entrati, hanno conosciuto, capito e partecipato; ma altrettanti, forse i più, hanno al massimo gettato un’occhiata, non tanto disinteressata, certo, ma poco incline alla ricerca e alla comprensione di quanto stesse accadendo in quelle mura e in quella piazza. Io faccio un po’ parte di entrambe le categorie, così ho deciso di contattare i primi che nell’ex-caserma di piazza Pino Piras hanno iniziato a operare – cioè l’associazione Malerbe – per una chiacchierata che soddisfacesse qualche curiosità mia, e non solo mia.
Malerbe: chi siete, da dove venite, dove andate?
Malerbe, in breve, è un’associazione di promozione sociale e culturale, oltre che di autoproduzione.
Quando e come Malerbe entra nell’ex caserma?
Nei primi mesi della nostra attività abbiamo cominciato operando in spazi privati messi a disposizione dai soci, con tutti i problemi e le complicazioni che questo comportava. Così, ad aprile, abbiamo chiesto il permesso al direttore del Dipartimento di Architettura di utilizzare alcune stanze dell’ex caserma che, pur essendo assegnate all’Università, erano inattive. Un mese dopo, ci sono state concesse delle sale.
In che condizioni erano?
Le aule in cui siamo entrati erano completamente in disuso. Abbandonate. Ad eccezione di alcune stanze utilizzate dal Dipartimento di Architettura, l’intera caserma era vuota. Non che ci fosse incuria da parte della facoltà, ma semplicemente non c’era vita. Dal punto di vista strutturale, poi, non c’erano e non ci sono problemi. Certo, manca ancora oggi l’agibilità. Sarebbero necessari lavori, ad esempio, per permettere l’accesso ai disabili. Ma l’edificio non è assolutamente pericoloso.
Il Dipartimento di Architettura ha beneficiato degli spazi dell’ex caserma fin quando, a fine giugno, è stata sbloccata la situazione del complesso di Santa Chiara. L’università si è trasferita. Malerbe, invece, no.
Sin da quando ci stono state concesse, sapevamo benissimo che la permanenza della nostra associazione all’interno delle stanze era del tutto precaria. Ce lo ha ricordato più volte anche l’università. Quando il Dipartimento di Architettura ha completato il trasferimento a Santa Chiara, noi siamo rimasti soli all’interno dell’ex caserma. La risposta dei cittadini alle attività proposte dall’associazione, ma anche al solo fatto che lo spazio fosse aperto, vivo ed energico ci ha incoraggiato a credere che il progetto potesse andare avanti. Abbiamo lavorato molto per sistemarlo e renderlo più accogliente.
Com’è il rapporto con l’attuale amministrazione cittadina?
I primi contatti sono avvenuti a inizio luglio, quando abbiamo protocollato una richiesta di incontro per capire quale sarebbe stato il destino dell’ex caserma. Quindi, ad agosto, siamo stati contattati dall’assessore Natacha Lampis: voleva capire chi fossimo e cosa facessimo esattamente qui dentro. Allora abbiamo prodotto un documento: Spazi Necessari (circa 20 pagine) in cui esponevamo quali sarebbero state le condizioni ottimali per permettere alla nostra, ma anche ad altre associazioni, di poter continuare a operare. Poi, a settembre, abbiamo incontrato il sindaco Mario Bruno con gli assessori Gabriella Esposito e Raffaele Salvatore. Abbiamo parlato con loro, esposto quanto fatto fino a quel momento e quanto si sarebbe ancora potuto fare. Sempre consapevoli del fatto che, da un momento all’altro, tutto sarebbe potuto finire. L’esito dell’incontro è stato sostanzialmente positivo, anche se in futuro, nell’ottica della razionalizzazione degli spazi che la giunta vorrebbe attuare, potrebbe essere necessario trasferirsi in un altro luogo.
Quali associazioni collaborano in Res Publica?
Sin dall’inizio di quest’avventura l’intento di Malerbe è stato quello di creare una rete con le altre associazioni, cercando di coinvolgere le altre realtà del territorio. Il Filo del Discorso, il GAS (Gruppo Acquisto Solidale), Alghero Tricirco, Alive Sardegna, il Circolo Culturale Artico; queste sono alcune delle associazioni che sono sempre state amiche di Malerbe e che oggi ravvivano Res Publica.
Quali sono le attività che animano l’ex caserma?
Sono attività principalmente artistiche, culturali e di servizi sociali. Ad esempio, c’è un collettivo artistico, con uno spazio per disegnare e dipingere, aperto a tutti. Si organizzano dei corsi di illustrazione in cui vengono coinvolti bambini e adulti. C’è lo spazio per l’artigianato dove si impara a scolpire il legno. Il So.L.P., uno sportello legale popolare per la tutela dei diritti individuali e collettivi. Stiamo allestendo, giorno dopo giorno, una piccola biblioteca, grazie anche delle donazioni dei soci e di altri associazioni, come ad esempio la Società Umanitaria. Inoltre, una sala è stata adibita a piccolo teatro in cui è possibile a tutti organizzare degli spettacoli. E ci sono anche degli spazi dedicati alla musica e alla magia.
Res publica: cui prodest? Ma chi ci guadagna?
La città, i cittadini. Di soldi non ne girano mica tanti. Per partecipare ad alcuni corsi viene richiesta una quota che è sempre popolare. Si cerca di andare verso l’inclusione e di poter garantire la circolazione del sapere verso chiunque, a prescindere dalla situazione economica. L’ultima raccolta di autofinanziamento è fruttata 8 euro: 23 incassati e 15 spesi. Comunque a fine anno, quando il bilancio verrà approvato dall’assemblea dei soci, verrà reso pubblico.
Cosa non si può fare all’interno degli spazi?
Abbiamo un codice etico che in un certo senso regola le attività all’interno di Res Publica. Non si può fare politica. Non si può fare propaganda di partito. Non si possono svolgere attività confessionali. Non si possono svolgere attività professionali individuali con scopo di lucro, come magari è accaduto in luoghi occupati di altre città.
Mettiamo che io voglia avvicinarmi, partecipare attivamente alla discussione, proporre dei progetti. Cosa devo fare?
Tutti i lunedì, alle 19:00, ci riuniamo in assemblea. In ogni caso, lo spazio è aperto praticamente tutti i giorni. Organizziamo dei turni per tenere le porte spalancate il più possibile. Aspettiamo te e chiunque mostri interesse verso il progetto.
Mentre ci salutiamo, arriva una coppia di turisti. Il loro accento tradisce un’origine veneta. Si avvicinano con curiosità. «Si può?». «Certo, è di tutti» gli rispondono. Però, questi ragazzi, sembra che facciano sul serio. Ognuno si faccia la sua opinione, ma prima dia un’occhiata. Se vuole, addirittura partecipi. Altrimenti che res publica è?