«Stacchiamo la spina ad un sistema politico in coma irreversibile»

L'Opinione di Vittorio Guillot

In un pezzo scritto poco tempo fa ho sostenuto che la partitocrazia è un male insito nella nostra stessa Costituzione e che, se si vuole combattere questo cancro a cui sono soprattutto dovuti i nostri mali, occorra riformarla profondamente . Ho pure sostenuto che, attraverso gli articoli 104 e 134 , la partitocrazia ha invaso il sistema giudiziario e ciò è inammissibile in uno stato di diritto. In uno stato democratico e, direi, civile, le leggi, infatti, le fa il Parlamento, liberamente eletto dai cittadini, ed alla magistratura compete l’obbligo di applicarle secondo la volontà espressa dal legislatore e non secondo l’ideologia del giudice. In questo consiste la sua imparzialità.

Sbaglio se sostengo che questa imparzialità debba scaturire dal divieto per i giudici di partecipare alla politica attiva, mentre oggi è loro assurdamente consentito di entrare ed uscire dalle liste elettorali o dal parlamento, come si fa con una porta girevole? Vi pare in armonia con questa imparzialità la formazione di correnti di magistrati fortemente politicizzate, quale, per esempio, magistratura democratica, anche se, purtroppo non lo è solo quella? Perché, poi, i magistrati che sbagliano per ignoranza crassa o per applicare la legge in modo difforme dalla volontà del legislatore, non dovrebbero rispondere del loro comportamento quanto meno rimettendoci la carriera, risarcendo chi è danneggiato e lo Stato e, se del caso, venendo cacciati dalla magistratura? Perché il comportamento dei magistrati, le loro sentenze e qualsiasi loro provvedimenti, in particolare quelli che riguardano la libertà ed il patrimonio del cittadino, non dovrebbero essere valutati ai fini della loro carriera, come, del resto, avveniva in tempi non troppo lontani?

Perché i magistrati non potrebbero essere valutati da commissioni formate da giuristi di fama, magari fuori servizio o in pensione, quali professori universitari ed avvocati ’giubilati’, che non abbiano alcun legame, né diretto né indiretto, tramite familiari, con la politica e con gli interessi di chi viene valutato? E’ proprio impossibile che i membri di queste corti siano scelti in base ai loro titoli e meriti e non siano eletti o nominati arbitrariamente dai politici? C’è, per caso, alcunché di ‘populista’ e di utopistico in queste richieste? Mi farebbe piacere che qualcuno proponesse una migliore soluzione per risolvere i problemi della magistratura e della giustizia, le cui disfunzioni sono un macigno sulla nostra vita democratica. Personalmente toglierei dalle mani dei politicanti anche la nomina di primari, managers, dirigenti di tanti enti pubblici, da quelli comunali a quelli statali, e la affiderei solo alla valutazione dei loro titoli, meriti e capacità. Ritenete che ci sia qualcosa di antidemocratico in questo auspicato modo di procedere, che ciò non sia possibile o che la vita nazionale ne avrebbe solo dei vantaggi? Credete che il nostro tante volte citato ‘bene comune’ ed il legittimo interesse di ciascuno a veder ben funzionare i pubblici servizi verrebbe mortificato o meglio tutelato?

Ho anche sostenuto , e ribadisco, che il nostro sistema costituzionale non assicura che il Parlamento sia autenticamente espressione della cultura, della volontà e degli interessi del nostro popolo ma delle convenienze di chi domina i partiti politici e le varie correntuccie in cui sono frammentati. Se pensiamo a come queste caste, grazie alla Costituzione, siano agganciate al potere giudiziario ed a quello amministrativo, possiamo capire perché l’Italia sia dominata da un sistema in cui è consentito dire e scrivere tutto ciò che pare e piace, come faccio anche io, qui ed ora, ma in cui tutto ciò che si scrive e dice vale molto poco perché chi comanda sono sempre pochi capibastone. Molto diverso sarebbe se il popolo, quello genuino, quello che lavora e che manda avanti la baracca col suo sudore e con le sue iniziative, fosse rappresentato in parlamento senza essere ostacolato dal muro costituito dalle segreterie dei partiti e senza far passare le sue esigenze al loro vaglio.

Io non credo nel metodo proposto dal M5S, che nasconde dei pericoli non meno gravi di quelli contenuti dalla imperante partitocrazia . Come risolverei questi problemi? Molto semplicemente: Ovviamente consentirei la massima libertà di opinione e di associazione. Però vorrei anche che in Parlamento fosse direttamente rappresentato il Paese reale, ossia le categorie economiche di cui ogni cittadino fa parte di diritto perché è un lavoratore, perché lo è stato o lo vuole essere. Tra i lavoratori includerei anche gli imprenditori, la cui opera è altamente meritoria. Le assemblee di base delle categorie, organizzate secondo una legge, secondo me dovrebbero addirittura indicare le persone da candidare nelle liste elettorali e, conseguentemente, eleggere i loro rappresentanti nelle Sedi istituzionali in cui si fanno le leggi e si indirizza la vita politica sia nazionale che locale.

Periodicamente questi ‘rappresentanti del popolo sovrano’ dovrebbero esporre nei loro collegi elettorali la attività svolta ed i risultati ottenuti. In tal modo verrebbero portate nelle stanze del potere le esigenze di tutta una collettività e si renderebbero più difficili i maneggi a cui ci hanno abituati gli oscuri intrallazzi tra partitocrazia e lobby internazionali, nazionali e locali. Perché, poi, la attuazione della volontà popolare non sia compromessa dai ricatti dei gruppuscoli parlamentari o di singoli personaggi, ben vedrei la istaurazione di un governo reso stabile dalla diretta elezione dei cittadini e non dipendente da maggioranze parlamentari più o meno effimere. Capisco che questo mio desiderio di una democrazia radicale non possa essere capito dai nostalgici del sistema partitocratico fondato sulla attuale Costituzione, ma, chiedo a chi mi fa il piacere di leggere, trovate qualcosa di illogico e di assurdo in questo mio modo di ragionare?

Aggiungo , benevoli lettori, di avere molta fiducia nella socializzazione delle imprese di dimensione superiore a quella artigianale. Credo, cioè, in una ‘democrazia economica’ in cui i lavoratori partecipino alla gestione ed agli utili delle imprese stesse. Mi pare che ciò non solo non mortificherebbe la proprietà privata e gli investimenti ma, addirittura, li favorirebbe perché il comune interesse allo sviluppo e la collaborazione sociale tornerebbero utili a tutti coloro che , come operai, tecnici, impiegati , imprenditori e risparmiatori-investitori, sarebbero coinvolti nei processi produttivi. C’è qualcosa di antisociale e di reazionario in questa idea , o sono, invece, reazionari e nostalgici coloro che non vorrebbero cambiare questa nostra Costituzione e, quindi, preferiscono mantenere invita con un accanimento terapeutico il sistema socio-politico che si fonda su di essa, benché sia in coma profondo? Io, se ci fosse un partito che sostenesse la politica che ho indicato , vi aderirei senz’altro. Con questa affermazione è chiaro che non sono, in assoluto, contrario ai partiti ma allo strapotere che proviene dalla loro degenerazione .

Vittorio Guillot, 21 Marzo 2016