«Siamo in guerra con un nemico che ha un volto e un nome»
L'opinione di Pietro Serra, presidente di "Alternativa Futura per l'Italia"
Gli attentatori del 11 settembre, coordinati da Osama Bin Laden, erano musulmani. Lo erano anche i terroristi che posizionaro ordigni mortali nei treni di Madrid in Spagna, gli attentatori suicidi nella metropolitana della Gran Bretagna, quelli del Charlie Hebdo, Bataclan e Nizza in Francia, il giovane della strage al club frequentato da omosessuali ad Orlando, i kamikaze dell’aeroporto in Belgio, il ragazzino che ferì e uccise alcuni passeggeri su un treno in Germania e, notizia di queste ore, il kamikaze vicino a un concerto ad Ansbach, in Baviera. Insieme agli islamisti che a Dacca uccisero 9 italiani e diversi giapponesi. E’ un fatto che ci troviamo davanti a qualcosa di nuovo ed eccezionale. Un terrorismo religioso che non mira come in passato ai personaggi o simboli delle istituzioni. Ma colpisce nella massa, tra cittadini di qualsiasi ceto sociale. Nei luoghi affollati, quali stazioni, aeroporti, supermarket, ristoranti, teatri o concerti. Una scia di sangue che punta alla distruzione del nostro modo di vivere. E con esso la nostra società, che bando al perbenismo, può considerarsi civile al contrario della loro.
Ma contro i fanatici dell’Allahu Akbar, non servono le buone maniere. Occorrono risposte forti, come quelle fornite dal presidente Hollande. Intensificando i bombardamenti nel luogo dove i terroristi vivono. Come Iraq, Siria e Libia. E arriviamo perfino al paradosso: i terroristi che tanto temiamo e dispezziamo, sono finanziati dal nostro Governo e dall’élite dei banchieri, alias Unione Europea. Un flusso continuo e ininterrotto di migranti. Soldi che vengono spartiti tra gli stessi e le cooperative. I primi inviati alle famiglie d’origine, sapendo che in realtà alimenteranno i nuovi portatori di morte. I secondi per incrementare il commercio di armi. Alla faccia del disarmo tanto invocato da Obama!
Già, quel Barack Obama superluo e flaccido, menefreghista e incapace della benché minima azione di leadership. Un uomo che la storia sta rivelando per ciò che è, con l’opinione comune, suggellata dai fatti, di un fallimento bis. Le tensioni razziali e la crisi pressante del Medio Oriente, in testa la Siria, ne sono la certificazione. Come Bashar Al Assad, passato da carnefice a vittima, nel giro di poche settimane. E mentre in quello Stato si consuma uno dei peggiori eccidi dell’umanità, gli Stati Uniti e il mondo rimangono a guardare. In silenzio. Anche quando a morire è un bambino, l’ultimo la scorsa settimana, decapitato all’età di 10 anni. E non vengono risparmiate donne e anziani. I più indifesi tra gli innocenti.
Ma se gli Stati Uniti sono afflitti da un doloroso mutismo, non altrettanto si può dire della Russia di Vladimir Putin. Gli unici ad aver contrastato il terrorismo con operazioni senza precedenti. Obiettivi Isis mirati e colpiti. Alla faccia dell’Europa. Quell’accozzaglia di Stati che anziché far fronte comune e parlare un’unica voce, ne parlano 28. Quasi a regalarci l’amara ironia delle parole ripetute recentemente come un mantra: “L’Europa unita ha evitato nuove guerre”. Ciechi, visto che siamo già in guerra da ormai 15 anni! E non per colpa dei britannici che all’élite bancarie hanno preferito gli interessi dei loro cittadini. Per via piuttosto del multiculturalismo che ci ha fatto cedere la sovranità nazionale e con essa la nostra storia, cultura e tradizione. E se malgrado tutto l’orizzonte non è chiaro, il popolo italiano è ancora in tempo per reagire e cambiare rotta.
Partendo dalla Turchia. Imponendo all’Europa un’inversione di tendenza, chiudendo definitivamente le porte al suo ingresso. Relegando all’oblio l’insana idea di Silvio Berlusconi che a suo tempo volle una Turchia europea. Consapevoli, ora ne siamo certi, del finto golpe che ha dato il via all’ulteriore islamizzazione del popolo turco. Mandati di arresto per giornalisti, magistrati, professori, soldati e dissidenti. Addirittura l’introduzione della pena di morte per chi ha leso la maestà di Recep Tayyip Erdogan. Qualcosa di impensabile, per l’Europa che ama definirsi dei popoli e dei diritti. Soprattutto chi il diritto alla libertà lo reprime togliendo la vita.