Resistenza agli antibiotici, in Italia e Grecia la percentuale più alta
I casi maggiori negli ambienti ospedalieri: lo hanno detto gli esperti riuniti nel paese costiero per il consueto appuntamento con “Stintino Seminary of Microbiology”.
Abusare degli antibiotici, è risaputo, può essere pericoloso, oltreché per la salute anche per il fatto che i batteri “aguzzano l’ingegno” e, per sopravvivere, si rafforzano sino a diventare resistenti proprio ai farmaci creati per combatterli. L’antibiotico resistenza dei batteri è un problema che interessa l’intero globo terrestre e che mette in evidenza come in certi ambienti, in particolare quelli ospedalieri, il problema sia preoccupante e debba essere costantemente monitorato. Italia e Grecia, insieme a Croazia e Romania, sono tra i Paesi europei con le percentuali più alte di ceppi multi resistenti agli antibiotici. È stato questo l’argomento portante dell’ultimo convegno “Stintino Seminary of Microbiology” che si è svolto nei giorni scorsi al museo della Tonnara di Stintino.
L’incontro, patrocinato dal Comune di Stintino e con la collaborazione del Centro studi sulla civiltà del mare, è stato organizzato dal dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Sassari, dalla Scuola di specializzazione in Microbiologia e Virologia e dal Phd Course in Life Sciences and Biotechnologies. Il seminario, legato alla rivista internazionale Jidc, The journal of infection in developing countries”, che da anni coordina a Stintino incontri scientifici programmati nel mese di settembre, ha visto la partecipazione di numerosi ospiti internazionali, relatori, dottorandi, uditori.
Durante il seminario è emersa la preoccupazione per il fatto che l’Italia e la Grecia, insieme a Croazia e Romania, sono tra i Paesi europei con la più alta percentuale di resistenza antibiotica negli ambienti ospedalieri. La diffusione di ceppi come la Klebsiella, particolarmente insidioso perché resistente agli antibiotici carbapenemici, detti anche Kpc, pone davanti il rischio in un futuro prossimo di non avere più a disposizione antibiotici in grado di combatterli. Da qui – è stato detto – l’ipotesi di utilizzare alternative agli antibiotici, come a esempio, l’impiego di virus dei batteri che sono in grado di infettare i batteri specificamente, e non le cellule umane, e la terapia con inibitori del quorum-sensing, una forma di comunicazione utilizzata dai batteri per scambiarsi informazioni l’uno con l’altro e formare un microfilm che impedisce agli antibiotici di raggiungerli.
Il seminario stintinese è stato anche l’occasione per discutere dell’individuazione di nuove metodologie diagnostiche legate al sequenziamento del Dna che consentiranno, in un futuro si spera non troppo lontano, una risposta più rapida alle indagini.
Infine, un intervento focalizzato sulla trasmissione del Zika virus ha posto l’accento non solo sulla prevenzione ma anche sulle implicazioni, etiche e politiche, legate alla diffusione della malattia.
I lavori sono stati aperti da Salvatore Rubino, docente di Microbiologia all’Università di Sassari e direttore della rivista Jidc, a cui hanno poi fatto seguito gli interventi di Aysegul Karahasan Yagci, Department of Clinical Microbiology di Instabul, Athanassios Tsakris, Medical School of University di Atene, John Wain, Norwich Medical School (Regno Unito), e David Kelvin, University Health Network di Toronto, coordinati da Mohammed Al Ahdal (Arabia Saudita) e da Piero Cappuccinelli (Italia).
Nella foto: Salvatore Rubino con alcuni studenti