«La verità non sta da una parte sola»

L'opinione di Raffaele Cadinu

Dopo le dimissioni del Presidente del Parco Prof. Farris, motivate a suo dire per la scarsa collaborazione da parte dell’Amministrazione Comunale con l’Ente Gestore ed incentrate soprattutto nella mancata approvazione del Piano del Parco, mi vedo indotto ad apportare un po’ di chiarezza, almeno per spostare nel mezzo una parte delle verità. Nella lunga lettera di dimissioni il Prof. Farris non ha fatto menzione di un episodio rilevante, e cioè l’acquisizione da parte della Procura della Repubblica della documentazione inerente il Piano del Parco e il concorso per il nuovo direttore. Pertanto un qualche dubbio sarebbe dovuto sorgere al Prof. Farris circa l’opportunità di sollecitare ossessivamente l’approvazione di un elaborato sotto sequestro giudiziario, d’altra parte acquisito dagli inquirenti non certo per colpa dell’Amministrazione comunale. Premetto anche che io stesso feci un accesso agli atti e un accesso civico, inerente proprio l’iter progettuale del Piano del Parco, dei quali non ho avuto riscontro esaustivo nonostante anche i ripetuti e formali solleciti. Preciso che tali istanze di accesso erano incentrate sulla avvenuta pubblicazione nel sito istituzionale del Parco, degli elaborati privi della firma e del timbro professionale del progettista cosa questa che, a mio modesto avviso, è necessaria a termini di Legge. Tra le varie incongruenze emerge anche quella rappresentata dal numero degli esperti chiamati a collaborare al progetto, ben 16!!, formanti un “Comitato Scientifico del Piano del Parco” non previsto ne dallo Statuto ne dalla Legge Istitutiva, ma nominati con esclusiva autonomia dall’autonominatosi “Responsabile Scientifico” Prof. Nicola Sechi. In effetti la Legge istitutiva prevede sia un Comitato Scientifico (sei membri) sia una Consulta, ma di questi organismi ufficiali non vi è traccia, insomma un pasticcio dietro l’altro. Che il Piano del Parco sia uno strumento pianificatorio non vi è dubbio, così come non vi è dubbio che i confini, peraltro provvisori sanciti dalla Legge statutaria, siano stati ampliati con l’estensione di due tipologie di aree e cioè quelle contigue e quelle di connessione. Fondamentalmente la perimetrazione del Parco originaria andava integrata inserendo all’interno le zonizzazioni previste dalla Legge Istitutiva, che ammette anche modifiche al perimetro, ma non certo l’estensione delle aree contigue del Parco sino ai confini con Olmedo, comprendendo addirittura le tenute Sella e Mosca!, come invece avvenuto in alcune delle planimetrie circolate durante il travagliato iter propositivo, ora sotto sequestro giudiziario. Bastava leggere l’art. 2 della Legge istitutiva per comprendere che il reperimento di aree da includere nel Parco siano condizionate al mantenimento della continuità del perimetro, per cui le aree contigue e quelle di connessione possono essere solo quelle comprese tra due o più aree del Parco separate tra loro da zone non facenti parte del Parco stesso. L’esempio lampante è rappresentato dalla zona di Punta Giglio con quella di Capocaccia, in quanto risultano separate dall’insediamento urbano di Maristella, che costituisce appunto un’area di connessione. Invece sono state individuate aree di connessione alle falde di Monte Doglia sul versante dell’aeroporto, ora colorate di celeste, che non connettono alcunché. Se poi si va a verificare l’art. 13 della Legge istitutiva, al comma 3 lettera d) si scopre che proprio nelle aree di connessione sono consentite attività produttive e turistico-ricreative. Considerato che il Piano del Parco è in pratica uno strumento pianificatorio sovraordinato a tutti gli altri piani urbanistici, è facile dedurre che la creazione delle aree di connessione (di colore celeste nelle carte) individua anche i siti ove si possono realizzare i futuri insediamenti produttivi turistico-ricreativi. In pratica tale metodo ha escluso dal potere pianificatorio il Comune e quindi l’intera collettività, visto che tale competenza è attribuita solo a 17 persone cioè del Comitato Scientifico del Piano del Parco e del suo nominatore personale Prof. Nicola Sechi. Di tutto ciò spero che il Prof. Farris si sia reso conto, e a mio modesto avviso bene avrebbe fatto a sollevare anche queste argomentazioni, utili a comprendere eventuali interessi non propriamente eco-sistemici per usare un termine credo fin troppo abusato e forse utile solo ad imbrogliare gli allocchi. Un ultimo appunto riguarda invece la convenzione tra il Parco di Porto Conte e il Parco Geominerario. Questo organismo regionale avrebbe per statuto l’onere di stabilizzare i lavoratori socialmente utili delle aree minerarie dismesse, nonché l’onere di bonificare i siti minerari anch’essi dismessi. Anche in questo caso il Prof. Farris si sarebbe dovuto chiedere chi, perché e come abbia compreso il promontorio di Capocaccia all’interno di tale comprensorio visto che non vi sono miniere da bonificare, dimenticando ad esempio il colle di Calabona, vero sito minerario dismesso nel territorio di Alghero, forse gli interessi erano invece incentrati sulle più remunerative Grotte di Nettuno definibile comunque per certi versi una miniera di soldi?

Raffaele Cadinu, 15 Ottobre 2016