Alghero Street Photography, tre mostre come anteprima dell’evento di fine mese
Nel prossimo week end, in occasione della tappa algherese di Monumenti Aperti, un’anteprime dell’evento con le mostre di Salvatore Ligios, Luca Spano e Pierluigi Dessì nelle antiche torri di Porta Terra, di San Giovanni e di Sulis, lungo il perimetro della vecchia cinta muraria che delimita il centro storico della città
Dal 25 al 27 maggio la Riviera del corallo, nell’estremità nord occidentale della Sardegna, farà da suggestivo scenario alla prima edizione di Alghero Street Photography Awards, un festival internazionale dedicato alla fotografia di strada autoriale. Nel cuore del Mediterraneo, in Sardegna, l’unica città italiana di cultura, identità e lingua catalana sarà per tre giorni il luogo in cui si incontreranno addetti ai lavori e appassionati di un’arte resa sempre più democratica dalla tecnologia. Nel bene e nel male l’immagine, la sua potenza espressiva e la sua immediata capacità di “dire” ha preso il sopravvento sugli altri linguaggi comunicativi, soprattutto nelle arene virtuali, e questo sta trasformando il mondo della fotografia e l’approccio di moltissime persone a quest’arte, la cui diffusione è inarrestabile ma paradossalmente rischia di negare il valore e l’importanza del lavoro autoriale. Invece è proprio su quello che si concentrerà Aspa 2018, organizzato dall’associazione algherese Officine di Idee proprio per raccontare il mordo attraverso lo sguardo affinato e sensibile di chi fa della fotografia un’esperienza artistica, uno strumento di riflessione critica sulla realtà.
Alghero Street Photography Awards è esattamente questo: il mondo raccontato dalle vie, dalle piazze, da dietro i palazzi, in fondo a un prato di periferia. Una realtà narrata attraverso storie ai margini, dal bordo di una strada a senso unico, dove scorre tutto, dal centro agli estremi, dal potere globale ai luoghi in cui trovano casa le povertà più estreme, materiali e non solo. Comunità dimenticate, raccontate attraverso i loro sguardi, i loro frammenti, con l’occhio avvezzo, quasi clinico, di chi in quei posti c’è stato, e ha visto la gioia e l’inquietudine di mondi lontani ma comuni, resi tali dalla distanza dal centro. Perché si può essere periferia anche nel cuore di una grande città e si può essere centrali anche ai margini del Mediterraneo, in Sardegna, nella Riviera del corallo, ad Alghero, luogo in cui si incontrano idealmente – e dibattono, in un certo senso – le migliaia di autori che hanno giàpartecipato ad Aspa 2018, che è stato prima di tutto un contest.
L’esito della sfida lanciata da Alghero sarà al centro della programmazione del festival internazionale della fotografia di strada che si terrà a fine mese. Durante tre giorni di mostre, performance, riflessioni, esibizioni ed eventi collaterali – senza trascurare la possibilità di visitare i numerosissimi siti di interesse artistico, culturale e naturalistico che Alghero può offrire in qualsiasi stagione dell’anno, per non parlare delle peculiarità di un’enogastronomia fortemente basata sulle eccellenze produttive locali – i vincitori saranno proclamati e premiati, e la città si farà teatro di incontri straordinari, di eventi unici. Sicuramente a livello regionale, quasi certamente a livello nazionale, probabilmente anche in ambito internazionale. A poche settimane da quell’appuntamento, il cui programma sarà ufficializzato nei prossimi giorni, si può già dire che Aspa 2018 ha già fatto centro. Migliaia di opere provenienti da 52 Paesi sparsi per il mondo, cinque categorie, altrettanti giudici di assoluto livello nel panorama internazionale: evidentemente la domanda che Aspa 2018 ha posto era legittima, il dubbio che ha sollevato era fondato. La selezione è ormai completata, ogni giurato ha scelto la propria cinquina in vista del rush finale. I nomi dei partecipanti sono ancora top secret, ma se può bastare per spiegare l’exploit di una manifestazione appena nata, tra loro ci sono i vincitori di premi come Sony World Photography Awards, World Press Photo, Moscow International Foto Award, Tokyo Photo Awards e Street Photography Awards.
La Sardegna negli ultimi anni ha investito molto nella fotografia. L’idea di un contest ad Alghero nasce per ampliare l’offerta di realtà ormai consolidate, nate per promuovere e dare visibilità a giovani talenti e a fotografi affermati. Alghero Street Photography Awards è pensato e organizzato da Officine di Idee, associazione di appassionati algheresi, sparsi tra la loro città e altri luoghi ma uniti da due comuni obiettivi: fare di Alghero la sede di un evento di portata internazionale dedicato alla fotografia di strada, anzitutto, e poi stimolare il dibattito sul rapporto tra foto e realtà, tra immagine e reale, tra ciò che è e ciò che si vuol vedere. Perché in fondo la street photography è esattamente una via di mezzo, è il rischio di ritrovarsi di fronte a ciò che di solito si evita di guardare. E fare un contest, almeno in questo caso, significa prendersi una responsabilità verso la realtà. La scelta di investire sul tema della strada in tutte le sue declinazioni possibili, dando soprattutto spazio alle storie fotografiche, non delimita il raggio, ma lo amplia.
Nel prossimo fine settimana, in occasione della tappa algherese di Monumenti Aperti, tre delle antiche torri che si trovano lungo il perimetro dell’antica città murata ospiteranno una ricca anteprima del festival, che annovera tra i suoi partner Comune di Alghero, Fondazione Meta Alghero, Fondazione di Sardegna e Fuji. Il 12 e il 13 maggio alla Torre di Porta Terra, alla Torre di San Giovanni e alla Torre di Sulis apriranno i battenti le mostre, rispettivamente, di Salvatore Ligios, Luca Spano e Pierluigi Dessì.
Torre di Porta Terra _ Salvatore Ligios _ Làcanas. Gl’incerti confini
Salvatore Ligios è nato a Villanova Monteleone, nella provincia di Sassari, nel 1949. È stato docente di Storia della fotografia all’Accademia di Belle Arti di Sassari. Tra il 2000 e il 2008 è stato direttore del museo Su Palatu, ora attivo come associazione culturale. Ha esposto in Italia e all’estero e ha pubblicato oltre quaranta libri fotografici.
Il lavoro fotografico di Salvatore Ligios si concentra su alcuni elementi caratteristici della retorica paesaggistica, andando a minarne la staticità e immutabilità. Il suo obiettivo si concentra su un paesaggio instabile, senza riferimenti precisi e assoluti, che riflette un’indeterminatezza culturale tipica del passaggio tra i due millenni. Un paesaggio incerto e invisibile, in una certa misura, perché non gratificato dalla cura dello sguardo. In una formula asciutta e contemplativa, questo resoconto fotografico diventa il racconto critico dell’invasione dell’orizzonte, la sottomissione di una terra a un invasore culturale, la svendita dei sogni e dei bisogni.
Riflettere sulle trasformazioni che hanno interessato il paesaggio contemporaneo, coglierne le implicazioni sociali ed esistenziali significa prendere atto di un fenomeno culturale di notevole complessità. I due termini di luogo e identità non sono tra loro semplicemente addizionati, ma necessari l’uno all’altro fino a farli coincidere. È una sfida articolata, politicamente schierata, ma soprattutto è un percorso di responsabilità, questa ricerca che diventa il tentativo di trovare una cifra, una struttura per ogni singola immagine. E dentro ogni singola immagine, un’intera regione.
Torre di San Giovanni _ Luca Spano _ Blood shift
Luca Spano è del 1982. È nato a Cagliari. Laureato in Scienze della comunicazione alla Sapienza di Roma, continua i suoi studi a Londra, dove prende un MA in Fotografia al London College of Communication e un MFA alla Cornell University. Cura diversi eventi di fotografia come Menotrentuno International Photographic Festival in Sardegna. Manager dell’agenzia fotografica OnOff Picture a Roma.
Il suo progetto esplora il paesaggio sottomarino della Sardegna usando il confine creato dalla mancanza di visibilità nella profondità delle acque. Questo diventa una metafora del concetto di rappresentazione fotografica. La ricerca riguarda le distese marine che nascondono immagini che i nostri occhi non possono vedere, dove il mezzo fotografico non può tracciare contorni nitidi, lasciando spazio all’incertezza del vuoto. Sotto la superficie dell’acqua, in questo ambiente indefinito senza chiare coordinate, la percezione dell’infinito diventa il soggetto principale, una sorta di pieno/vuoto che circonda il fotografo e l’atto stesso del fotografare. Questo soggetto svela i confini strumentali della fotografia, dove la rappresentazione fotografica perde la sua veridicità, lasciando spazio a qualcosa di presumibile, ma che non si può possedere. A livello intimo, questo corpo di lavoro si riferisce anche alla riflessione esistenziale sulla conoscenza umana: il vuoto, oltre l’orizzonte di un’isola, diventa una riflessione sulla nostra relazione con il conoscibile. Spano ha sviluppato il progetto usando la tecnica dell’apnea, quindi trattenendo il respiro. Questa disciplina gli ha permesso di sentire le intense sensazioni dell’acqua profonda direttamente sul suo corpo.
Torre di Sulis _ Pierluigi Dessì _ Confini invisibili
Pierluigi Dessì è nato a Cagliari nel 1964. Si specializza in fotografia pubblicitaria alla Scuola superiore di comunicazione Ied di Cagliari, dove poi torna come docente di Tecniche di ripresa fotografica e tecnica di stampa. Attualmente fa parte del direttivo di In/Arch Sardegna.
La ricerca fotografica di Pierluigi Dessì si concentra sulla grande tradizione paesaggistica italiana, riprendendone alcuni aspetti chiave soprattutto dal punto di vista antropologico. Il suo obiettivo si concentra sulla sua zona di origine e di vita, indagato nelle derive periferiche e nelle smagliature urbane che a volte prendono declinazioni desolanti.
Il suo lavoro fotografico si muove in equilibrio sul concetto di confine, inteso nel suo senso ampio e problematico, soglia come orizzonte degli eventi in continuo divenire, urbano e antropologico. Dessì fotografa una regione incompiuta, abbandonata a se stessa, spesso raccontata per stereotipi e ancor più spesso fraintesa dai suoi stessi abitanti, che accoglie nel suo ormai famoso “non finito” anche se lui, con ironia, sa declinarlo ben oltre le tracce urbanistiche e con un tocco lo plasma ad abbraccio esistenziale: siamo non finiti. E forse va bene così, perché possiamo continuare a evolvere. E mentre fotografa quel che c’è, con questa resa di umiltà e costante curiosità finisce per registrare un accumulo di tracce che sono poi il senso dei giorni, l’indagine infinita, il pungolo del mattino, la poesia della sera.