Architettura ad Alghero ricorda Placido Cherchi (1939-2013)
Placido Cherchi è stato un docente della nostra Facoltà. Un docente speciale che amava trasmettere con passione e amore la “sua storia dell’arte” agli studenti. Era capace di “portare il fuoco”. Critico nei confronti della cultura funzionalista, poco incline a restare in superficie, era attento alla profondità dei luoghi e delle persone, sapeva scorgere i segnali minimi, gli scarti di quella creatività dispersa, che spesso le luci abbaglianti dello spettacolo impediscono di vedere. Non per nulla era abituato a lavorare al di fuori del cono dei riflettori che illuminano i regni della gloria, praticava le radure d’ombra, le pieghe. Poco interessato alla visibilità emetteva i suoi lampi di luce, come un corpo luminoso di passaggio nella notte, indirizzando verso di noi memorie, energie e desideri. Praticava un insegnamento volto a liberarci dalle pastoie di un pensiero unico e omologante, cerc ava una strada che potesse aiutarci a riaprire piste interrotte. Proprio perché sapeva che tra l’arcaico e il contemporaneo poteva esserci un appuntamento segreto, ci invitava costantemente, come un pescatore di perle, a immergerci nel mare del nostro passato, a rientrare in contatto con le falde profonde della cultura sbocciata in questa terra. Era convinto che in queste profondità avremmo potuto ritrovare e liberare presenze nascoste dimenticate; riaprire sorgenti seppellite; estrarre coralli, perle preziose e rare, con cui avremmo potuto nutrire, dissetare, ripensare il nostro presente. Sapeva accendere la miccia esplosiva riposta nel già stato. Il suo pensiero e le sue parole fragili, audaci, ostinate e potenti, siamo certi, continueranno a danzare nel buio del nostro tempo a produrre risorse vitali e pensieri inattesi. I suoi lampi di futuro non ci abbandoneranno. Grazie Placido
Lidia Decandia
Sarà “strano” non poter più scambiare parole bevendo un aperitivo raro e prezioso con Placido Cherchi, parlando degli innumerevoli progetti di ricerca appassionata, di tracce rinvenute, di prospettive inedite percepite, delle “voci” della Sardegna che lui sapeva ascoltare nel frastuono del mondo e tradurre al mondo.
Placido se n’è andato, all’improvviso è passato dall’esistenza all’Essere, secondo il magnifico stile che incarnava, inesorabile e discreto, netto e strategico. E umano, molto umano, umanista.
Non si facevano “chiacchiere” con Placido, si scambiavano informazioni, si faceva il punto di mappe e percorsi mentali, raramente si confrontavano opinioni ben sapendo tacitamente che “non ci interessa quali opinioni un uomo abbia, ma quale uomo fanno di lui quelle opinioni”. Non sarebbe stato possibile altrimenti, sotto il suo sguardo omerico che t’inquadrava da lontanissimo.
Lo conosco – lo conoscevo (imperfetto quanto mai oggi) – da sempre. Metafisicamente, solo in quanto autore di un testo irrinunciabile, Paul Klee teorico, la sua tesi di laurea, che stava da sempre nella bibliografia dei miei corsi di storia dell’architettura a Venezia, trattazione della teoria kleiana – la più impervia e illuminante fra le visioni delle Avanguardie – tutt’ora insuperata.
Arrivato in Sardegna qualcuno mi disse che Placido era sardo e stava a Sassari, lo invitai a presentare il mio libretto sugli Angeli di Klee su cui mi arrabattavo da vent’anni e quando gli confessai di non potergli offrire neanche un “gettone di presenza” mi rispose “Ma non lo facciamo mica per questo, lo facciamo per Paul Klee, no?” E fu amore, come per gli studenti che frequentavano le sue lezioni di storia dell’arte ad Architettura e che ci ringraziavano per la sua presenza.
E ancora grazie infinite, per la tua Opera, per la tua vita.
Ciao, Placido, ci vediamo su una stella.
Alessandro Fonti