La globalizzazione al tempo del Coronavirus
L'opinione di Vittorio Guillot
La pandemia Coronavirus ha dato il massimo risalto ad un fatto che l’umanità ha sperimentato dalla notte dei tempi e, cioè, che tra tutti i popoli della Terra vi è una interdipendenza tanto profonda che le loro vicende sono indissolubilmente intrecciate. Perciò sia i fatti positivi che le crisi, siano esse economiche o sanitarie che di ogni altro tipo, hanno sempre ed ineluttabilmente avuto ripercussioni, dirette od indirette, grandi o piccole, nel breve o nel lungo o lunghissimo periodo, su tutti i Paesi del mondo. Oggi, a causa delle moderne tecnologie, quelle ripercussioni avvengono in tempi rapidissimi. Di conseguenza la necessità che gli stati si coordino per fronteggiare in modo analogo ed unitario le situazioni che li coinvolgono in modo vitale si è fatta più impellente che mai. Per me, che condivido anche in questo l’orientamento della Chiesa Cattolica, è quanto mai necessario ed urgente che si giunga ad Accordi o Convenzioni Internazionali che pongano regole al fenomeno della ‘globalizzazione’, ossia al riflesso che i fatti che si verificano in qualsiasi Paese del mondo hanno in ‘tempo reale’ in ogni altra parte. Questo fenomeno è stato riferito soprattutto al trasferimento di capitali, beni ed uomini ma non è ridotto solo a questo aspetto. Questi Accordi e Convenzioni sono indispensabili per evitare che la Politica, intesa come arte di tutelare gli interessi dei popoli, venga irrimediabilmente sottomessa agli interessi dei gruppi di potere più spregiudicati.
C’è stato qualche sognatore, scosso da irrazionali fremiti romantici, anche se si illudeva di essere un illuminatissimo intellettuale, che ha pensato di risolvere il problema di governare i problemi dell’umanità mediante la creazione di un super stato che dominasse sull’ intero Pianeta. Date le radicatissime divisioni e differenze tra popoli, a me sembra folle pensare alla realizzazione di una simile istituzione o, comunque, di una società appiattita su un ‘internazionalismo’ negatore delle diversità culturali. Piuttosto convengo col sociologo cattolico Le Fur che sarebbe un errore costituire un super governo mondiale che annulli le autorità statali intermedie e, di conseguenza.Invece le diversità devono sussistere sul piano etnico, politico e culturale. Tra l’altro anche Theilard de Chardin definisce la società internazionale, auspicata dal marxismo, una “collettività senza anima” mentre Pio XII° nell’Enciclica ‘Summi Pontificatus’ tratta quel super stato come causa “Di una uniformità esclusivamente esterna, superficiale e, perciò stesso, debilitante”.
D’altro canto Giovanni XXIII° nella Enciclica ‘Ad Petri Cathedram’ fa un espresso riferimento al ‘fine proprio delle diverse nazioni, che“altro non sono che comunità di uomini, cioè fratelli”. In questa ottica, così come tutti gli uomini hanno diritto a veder riconosciute la propria razionalità e la propria libertà, ogni popolo ha diritto a mantenere la propria identità collettiva. Ecco, allora che il pluralismo culturale e l’indipendenza politica rientrano a pieno titolo tra i diritti dell’umanità. Il valore delle culture dei popoli è anche ben espresso dalla Enciclica ‘Mater et Magistra’, che dice:” Lo sviluppo economico ed il benessere materiale vengono caldeggiati e propugnati spesso come preminenti e perfino elevati ad unica ragione di vita.
Ciò costituisce un’insidia dissolvitrice tra le più deleterie nell’opera che i popoli economicamente più sviluppati prestano ai popoli in fase di sviluppo…. Nei popoli in via di sviluppo questa coscienza di se stessi è ancora viva ed operante. Attentare a questa coscienza è essenzialmente immorale. Essa va, invece, rispettata per quanto possibile” Insomma, contro il materialismo marxista e capitalista, Giovanni XXIII°, contraddicendo Marx, insegna che gli uomin, e, di conseguenza, i popoli, non sono dei banali ‘tubi digerenti’ e le loro culture non sono delle artificiali ’sovrastrutture” ma il ‘fondamento della vera civiltà”. Mi pare che anche Paolo VI abbia espresso simili principi. Nella sua Enciclica Populorum Progressio, infatti, è scritto:” E’ naturale che delle comunità da poco pervenute all’indipendenza politica siano gelose di una unità nazionale ancora fragile e si preoccupino di proteggerla. È pure normale che nazioni di vecchia cultura siano fiere del patrimonio che hanno avuto in retaggio dalla loro storia”.
Certo i papi insegnano costantemente che tutti i popoli ed i loro governanti ‘devono tendere, al bene comune dell’intero consorzio umano ’e l’ordine internazionale deve cercare la tutela di tutti i popoli, in particolare di quelli più poveri e deboli. Perciò occorre che tutti si impegnino a fondo per combattere la loro fame, la sottoccupazione, le orribili condizioni sanitarie, l’analfabetismo, la scarsità d’acqua, l’inadeguatezza delle strutture amministrative, la insufficienza e la insalubrità delle abitazioni, la anarchia della natalità. Già Pio XII mise in guardia il Mondo contro “Le reazioni dei popoli sottosviluppati ed un loro assalto se (i più ricchi) non si danno da fare per assicurare a loro i mezzi per vivere decentemente”. Ecco, a questo punto mi viene da concludere che questo maledetto Coronavirus ha messo in risalto quanto noi, uomini dell’ ipertecnologico XXI° secolo siamo fragili, tanto che possiamo facilmente soccombere a causa di un elemento microscopico, invisibile. Ha messo anche in rilievo che un evento verificatosi nella lontanissima Cina, in men che non si dica ha avuto degli effetti devastanti su tutta la Terra. La globalizzazione, quindi, anche per questo tragico aspetto, è un dato di fatto assolutamente attuale. Essa, quindi, per gli effetti, sia positivi che negativi che ha in ogni campo, deve essere governata nell’interesse di tutti e di ciascuno. Perciò, esclusa la illogica ed innaturale possibilità di uno stato mondiale, non resta che giungere ad Accordi e Convenzioni Internazionali. Io, che sono piuttosto scettico sulla disponibilità dei governi ad aprirsi ad un amore altruistico e disinteressato verso le altre nazioni, credo che tutti siano preoccupati a disciplinare questo fenomeno per convenienza dei loro singoli popoli e, conseguentemente, dell’intera umanità. Questa, a mio avviso, è l’unico modo per evitare che si ritorni alle miopi politiche ultranazionaliste ed ai loro conflitti. Certo non è mai stato facile né breve il cammino per giungere ad Accordi e Convenzioni globali. Però ci si è giunti una infinità di volte e ciò ha consentito all’umanità di collaborare sempre meglio, anche se c’è ancora tantissimo da fare.
Perciò mi fanno grande piacere i papi che, con la loro altissima Autorità, condannano il concetto che il ‘ mercato globale’ si possa imporre sugli stati e diventi il dominatore dei popoli. E’ chiaro che questo modello ‘mercantile’ sia sostanzialmente totalitario e non cristiano. Mi piacciono molto anche i papi che si sono impegnati verso tutte le genti e tutti i grandi del Mondo per spronarli alla collaborazione ed alla eliminazione sia dei soprusi neocolonialisti che della corruzione che danneggia fortemente in particolare i Paesi poveri. Soprattutto, anche ricordando che il ‘battito d’ali di una farfalla in Brasile può produrre una tempesta in Irlanda’, dobbiamo pensare che le tragedie che toccano l’Africa ci riguardano molto da vicino. Perciò vorrei che i Paesi ricchi, tra i quali, malgrado tutto, includo l’Italia, si impegnino perché venga attuata una sorta di ‘Piano Marshall’, che aiuti i popoli africani a svilupparsi nei loro Paesi, partendo dalle loro culture e tradizioni. Come, d’altra parte, fanno da sempre i nostri missionari