Parlamento e Governo al tempo del Coronavirus
L'opinione di Vittorio Guillot
Prima di firmare il DPCM riguardante la ‘fase due’ del Coronavirus, il Presidente del Consiglio aspetta il parere di Colao, a cui, quasi fosse un novello Appio Claudio, ha dato l’incarico di redigere le ‘XII tavole’ che dovrebbero disciplinare la ripartenza economica. A parte il fatto che, anche nella Roma Antica, l’attività dei Decenviri fu fortemente contestata e molti di loro finirono male per aver favorito i patrizi, mi chiedo che senso abbia sentire quel comitato di 19 esperti di materie economiche e sociali ma e non il Parlamento. Eppure quelle questioni, nel momento in cui entrano in un provvedimento legislativo, come il DPCM, diventano automaticamente faccende politiche, di competenza del Parlamento. A meno che il buon Giuseppi pensasse di non poter fare diversamente, dato lo scadentissimo livello della classe politica che ci è stata propinata dai partiti. Già, proprio propinata perché noi elettori abbiamo solo potuto stabilire quanti parlamentari potessero essere mandati in Parlamento da questo o quel partito. Non abbiamo, però, potuto mai mettere il becco sulle candidature, magari con elezioni ‘seriamente’ primarie. Le scelte dei candidati, infatti, sono state sempre e costantemente fatte dai capò dei partiti. Comunque, con la decisione di Conte, il Parlamento viene di fatto esautorato. Così la politica, intesa come arte di governo, fa un ulteriore passo indietro rispetto ad una minoranza di tecnocrati. Ed i parlamentari tacciono davanti a questo affronto. Forse perché riconoscono la loro generale incapacità e sperano che altri tolgano le castagne dal fuoco? Se così fosse, non sarebbe il caso che questi deputati e senatori pagassero di tasca loro gli stipendi ai diciannove ‘saggi ‘di Colao, dato che questi son chiamati a supplire ad una funzione propria dei nostri parlamentari? Mi chiedo, a questo punto, perché certi parte politici se la prendano con l’ungherese Orban che, nel rispetto della Costituzione del suo Paese, ha assunto i pieni poteri per la gestione della emergenza. Non se la prendono, invece, con Conte, che, anche se altrettanto legittimamente, adotta le sue decisioni sentendo il Comitato diretto da Colao ma trascura il Parlamento?
Certo il DPCM con cui il Presidente del Consiglio vuole avviare la ripartenza dopo la batosta del coronavirus, per diventare legge dovrà essere approvato dalle Camere. Qualcuno potrebbe rispondermi: è la nostra democratica Costituzione, ragazzo! D’accordo! anche Orban però, dal canto suo, ha agito secondo la democratica costituzione ungherese e potrebbe essere sconfessato se il 20% dei deputati volesse l’eliminazione di quei pieni poteri. Comunque non sono questi gli argomenti che più mi interessano. Il fatto è che il Presidente del Consiglio attribuisce un altissimo potere e prestigio ai suoi Decenviri, ma non ai rappresentanti delle categorie sociali. Infatti nessun rappresentante di quelle categorie fa parte del Comitato di cui parliamo. Eppure sono loro il Paese che’ lavora e che produce’ gli aspetti pratici delle decisioni che Conte adotterà ricadranno senz’altro, e innanzi tutto, sulle aziende agricole, commerciali, industriali, pescherecce e dei trasporti, sugli imprenditori, sui dipendenti e, a discendere, su tutti i cittadini e lavoratori italiani. Sia chiaro che io credo che su certi fatti le ‘sentenze’ della scienza debbano essere accettate senza se e senza ma. Non credo per niente, cioè, che nelle questioni tecniche e scientifiche ‘uno vale uno’ e che, ad esempio, in fatto di misure contro il diffondersi di una pandemia, il mio oscuro parere o quello di un politico valgano quanto quello di qualche celebre virologo. Queste ‘sentenze’, perciò, devono costituire dei paletti che neppure la Politica può scavalcare, sempre che intenda combattere il virus. La situazione, però, presenta aspetti che non si limitano alla sola lotta alla malattia. Ci sono problemi economici e finanziari di difficilissima soluzione, che toccano la pratica realtà del nostro sistema produttivo e, quindi, le imprese e le categorie economiche. Questi aspetti, perciò, devono essere governati dalla politica, coinvolgendo soprattutto chi è più direttamente toccato dalle decisioni di chi fa le leggi. Perciò le soluzioni non possono essere calate dall’alto, dai pur illustri tecnocrati, senza il diretto coinvolgimento di chi nella pratica deve rispettare ed attuare le loro prescrizioni. Perciò è mia convinzione, oggi più che mai, che si debba consentire ai rappresentanti democraticamente eletti dalle categorie socio-economiche di far parte del Potere legislativo. In tal modo si potrebbero mandare in Parlamento persone che effettivamente rappresentino gli interessi sociali perché, appunto, liberamente scelte e selezionate dalla base del così detto ‘‘Paese reale”. Così si favorirebbe la concreta e democratica partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica. Come dire che in tal modo i diretti interessati sarebbero chiamati ad affrontare i problemi effettivi del Paese..
Mi è stato detto che prospettando la partecipazione dei rappresentanti selezionati e eletti dalle categorie sociali, io sarei nostalgico di un ‘noto periodo storico’. Parlo chiaro: se qualcuno è interessato, leggendo quanto ho sempre scritto e detto, può appurare che io credo in un Corporativismo indubbiamente molto più democratico ed efficiente di questa nefasta, e mefitica partitocrazia. Non mi stupisce che la sola parola ‘Corporativismo’ faccia sobbalzare di sdegno certe ‘anime belle’, o meno belle, ma offuscate da retorici pregiudizi . Quelle anime che vedono la minaccia del risorgere del fascismo in ogni stormir di foglia. Nessun timore, però, perché io alla libertà ci tengo forse più di loro. Faccio solo notare che il Corporativismo non fu una invenzione del fascismo, che lo attuò a modo suo. Il Corporativismo democratico, infatti, anche senza risalire ad Altusius, lo troviamo in documenti estranei al fascismo, come la ‘Carta del Quarnaro’, redatta per la Reggenza di Fiume da D’annunzio e, soprattutto, da Alceste De Ambris, socialista, morto esule antifascista a Parigi. Mi pare di trovare delle ispirazioni corporative anche nelle Enciclica ‘Rerum Novarum’, di Leone XIII, anteriore di una trentina d’anni al fascismo e, in tempi più recenti nella ‘Centesimus Annus’ di Giovanni Paolo II°. Leggere per credere e, perché no, magari per contestare queste mie opinabili opinioni.