Quali sono i rischi di contrarre il coronavirus all’aperto, ora che si può uscire
Numerosi scienziati sostengono che uscendo all’aperto il rischio di restare contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2 sia sensibilmente ridotto rispetto al restare in luoghi chiusi, grazie alla rarefazione delle particelle virali nell’aria e anche ai raggi del sole. Ciò nonostante, le probabilità non sono pari a zero. Ecco cosa c’è da sapere.
Da lunedì 18 maggio in Italia ha avuto inizio la vera Fase 2 dell’emergenza coronavirus, ovvero quella della convivenza col patogeno, avendo riaperto la maggior parte delle attività – ad eccezione di alcune come cinema, teatri e palestre per le quali ci vorrà un po’ più di tempo – ed essendo stata ripristinata la libertà dei cittadini. Da oggi non sarà infatti più necessario giustificare con l’autocertificazione la propria presenza in strada, a meno che non ci si sposti in un’altra Regione (tale limite dovrebbe cadere mercoledì 3 giugno). Alla luce di questo ritorno a una parvenza di normalità e grazie alla bella stagione entrata nel vivo, moltissime persone torneranno a invadere spazi all’aperto come parchi, piazze, giardini, spiagge e altri luoghi di ritrovo. Ma quali sono i rischi di contrarre la COVID-19 – l’infezione causata dal coronavirus SARS-CoV-2 – anche all’aperto?
Innanzitutto sottolineiamo che pur potendo circolare liberamente nella propria regione, è vietata qualunque forma di assembramento, inoltre va assolutamente rispettato il distanziamento sociale di almeno un metro, quando ci si trova con qualcuno che non coabita con noi. Nel caso in cui questa distanza non possa essere garantita per qualche ragione, è obbligatorio l’uso della mascherina (chirurgica o “di comunità”) anche fuori casa. In alcune Regioni e in diversi comuni l’obbligo di indossare la mascherina (e i guanti) può essere previsto anche all’aperto. Queste misure hanno un solo obiettivo: evitare il contatto con il droplet, le goccioline che espelliamo quando tossiamo, starnutiamo o semplicemente parliamo, all’interno del quale può trovarsi la carica virale sufficiente a scatenare l’infezione. È noto che le goccioline possano superare anche il metro, ma il “grosso”, come spiegato a fanpage dal professor Fabrizio Pregliasco, virologo presso l’Università degli Studi di Milano, cade proprio nel range dei 60 centimetri.
Rispettando il distanziamento sociale, indossando correttamente la mascherina e praticando un costante e certosino lavaggio delle mani (per 20-30 secondi con una soluzione idroalcolica al 75 percento o acqua e sapone per 40-60 secondi) il rischio di un potenziale contagio c’è ancora all’aria aperta? Secondo molti scienziati uscire all’aperto – soprattutto in questo periodo dell’anno – è più sicuro che starsene rinchiusi in un ufficio o al centro commerciale. “Penso che andare fuori casa sia importante per la salute. Sappiamo che essere all’aperto rappresenta un rischio inferiore per la trasmissione del coronavirus che essere all’interno”, ha dichiarato al New York Times la professoressa Julia L. Marcus, docente presso la prestigiosa Scuola di Medicina dell’Università di Harvard. “Penso che all’aperto sia molto meglio che all’interno in quasi tutti i casi”, le ha fatto eco il professor Linsey Marr, docente di ingegneria specializzato negli aerosol del Virginia Tech. La ragione principale è la rarefazione delle goccioline sospese nell’aria che potrebbero contenere il virus: “All’aperto c’è tanta diluizione. Finché starai ad almeno un metro di distanza, penso che il rischio sia molto basso”, ha affermato lo scienziato.
Per restare infettati del resto non è sufficiente una singola particella virale, che verrebbe efficacemente distrutta dal sistema immunitario, ma una carica consistente che una volta a contatto con nostro organismo sia in grado di abbattere le difese e avviare la replicazione all’interno delle cellule, determinando così la COVID-19. “La carica virale è importante. Un singolo virus non farà ammalare nessuno; sarà immediatamente distrutto dal sistema immunitario. La convinzione è che per superare la risposta immunitaria siano necessarie da poche centinaia a qualche migliaio di virus SARS-CoV-2”, ha dichiarato il professor Eugene Chudnovsky, docente di fisica presso l’Università di New York. Se alla rarefazione all’aria aperta si aggiungono le temperature più alte di questo periodo, che fanno evaporare rapidamente le goccioline, e i raggi UV del Sole che sembrano efficaci nella distruzione del coronavirus, il rischio appare sicuramente limitato. Nonostante la situazione favorevole, tuttavia, ci sono alcune precauzioni da prendere, come sottolineato dalla professoressa Julia L. Marcus.
Oltre a quelle relative a distanza, igiene delle mani e dispositivi di protezione individuale, è molto importante non scambiarsi cibo, non condividere oggetti e bevande. Secondo il professor Shan Soe-Lin dell’Università di Yale, inoltre, all’aperto il rischio di infezione è maggiore per due persone che si fermano a parlare a lungo, magari stese su un telo da spiaggia, che non per chi “cammina e si incrocia per strada”. Dunque in questi contesti la distanza potrebbe essere ancora maggiore (negli USA si suggeriscono i 6 piedi, poco meno di 2 metri). C’è anche il fattore delle superfici eventualmente contaminate dal virus, dato che diversi studi indicano possa resistere fino a tre giorni su acciaio, plastica e altri materiali. Benché il bel tempo possa ridurre significativamente questa “permanenza”, è solo facendo attenzione alla pulizia delle mani che il rischio viene drasticamente abbattuto. Il patogeno emerso in Cina è infatti estremamente sensibile ai disinfettanti per le mani.
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