“Sardegna zona arancione, colpisce lo stupore delle istituzioni regionali sarde”
L'opinione di Giovanni Baldassarre Spano, portavoce del gruppo Uniti contro la chiusura dell’Ospedale Marino e del gruppo Poder Popular per Alghero
Rifuggendo in questo ultimo periodo gli interventi sulla stampa, considerato che il ruolo primario delle associazioni in difesa della sanità sia l’ascolto delle categorie professionali interessate e degli utenti, tuttavia il gruppo Uniti contro la chiusura dell’ospedale marino, esprime il proprio pensiero in merito al passaggio della Sardegna da zona gialla ad arancione. Questa notizia ha una portata pesantissima sulle vite dei sardi e sull’economia locale, tuttavia di sicuro non si può essere sorpresi. Certamente non possono definirsi tali le istituzioni regionali. I parametri Rt e collegati che influiscono sull’ormai noto sistema di misure anti pandemiche progressive, con gli ultimi interventi statali sono stati inaspriti, ma di sicuro non tenuti segreti o ignoti agli organismi coinvolti. I dati sottoposti ai parametri esistenti provengono dalle regioni. Per tale ragione stupisce lo stupore rappresentato dalle istituzioni regionali sarde, o più precisamente da alcune di esse, avendo letto delle spiegazioni più credibili fornite dall’assessore competente.
Come spiegato più volte dal Ministero guidato dal Ministro Speranza i parametri adottati sono stati discussi ed oggettivati con le regioni, pertanto queste li conoscono bene, compresa la Sardegna. Al di là di questa considerazione di metodo o meglio di contesto, che poco giova in termini pratici, salvo non far consolidare “verità” soggettivate, francamente ritengo che questa disposizione cambi ben poco nel contesto di diffusione del virus in Sardegna. L’Isola infatti non è la Lombardia, il Veneto, l’Emilia, il Lazio o la Campania (per citarne alcune), che rappresentano regioni popolose caratterizzate da alta mobilità, ma una realtà con bassissima densità demografica e non caratterizzata da ingenti spostamenti di lunga distanza trai centri abitati. Per tale motivo la misura stessa potrebbe risultare inefficacie, almeno sul versante dello spostamento delle persone. Per quanto riguarda la chiusura delle attività questo fatto non muta la situazione se parallelamente si tengono comportamenti scorretti in altri luoghi.
La vera battaglia passa dalla capacità individuale di attenersi alle giuste prassi anti pandemiche e per tanto se queste non hanno luogo il panorama non cambia imponendo la chiusura delle attività di bar e ristorazione. A modesto avviso parrebbe più sensato da parte delle istituzioni regionali far maggiori pressioni sull’esecutivo per far riconoscere la specificità della Sardegna, ricostruendo più compitamente le dinamiche di diffusione del Sar covid- 2 nel nostro territorio. L’approccio più sensato potrebbe essere quello di istituire, a seconda dei casi, delle sub zone con diverse restrizioni relative all’incidenza del virus, al fine di abbassare la pressione sul sistema sanitario e consentire alle restanti aree (meno colpite) di non incorrere nelle medesime restrizioni. Spesso tali decisioni locali sono state lasciate ai Sindaci, tacciati non più di qualche mese fa come allarmistici, salvo poi vedere l’andamento odierno delle cose. Questo potere sta già tra le potestà devolute alle regioni.
La Sardegna, proprio per le sue caratteristiche antropiche, rappresenta un unicum che merita di esser trattato come tale. Lo scontro ideologico-istituzionale o la strumentalizzazione politica non giovano a nessun sardo, tanto meno ai sanitari impegnati nell’emergenza e agli utenti della sanità. Oltre a salvaguardare le attività economiche bisogna far fronte ad un arretrato di domanda sanitaria che grava sui nosocomi e si ripercuote sul diritto alla salute dei cittadini. Sarebbe il caso di smetterla quindi con il vittimismo proprio della “sceneggiata sarda”, meno nota di quella napoletana, ma ben più dannosa e capire dove si sta sbagliando ovvero quali interventi vanno posti in essere, di sicuro non con la ratio applicata nella recente deroga regionale a favore degli esercenti l’arte venatoria. Non si possono gestire crisi come quella attuale con lo sfondo elettorale. Concludendo ritengo che l’unica via di uscita stia nella consapevolezza generalizzata delle persone di dover rispettare le giuste prassi comportamentali, poiché la via della repressione non può essere considerata la strada maestra. Dobbiamo impegnarci tutti.