“Biden e il Corporativismo di D’Annunzio”
L'opinione di Vittorio Guillot
Ho letto che Biden vuole raggiungere un accordo internazionale per la tassazione dei profitti dei grandi gruppi economici e finanziari internazionali. In particolare vorrebbe annullare il divario tra le modestissime somme che quei gruppi versano come tasse nei ‘paradisi fiscali’ e quanto, invece, dovrebbero versare agli stati in cui operano e guadagnano. Se questa iniziativa si concretizzasse si eliminerebbero le discriminazioni ‘ tributarie’ e tutti gli stati, almeno sotto questo fondamentale aspetto, verrebbero posti su un piano di parità. Così si toglierebbe alle multinazionali un formidabile strumento di pressione su molti governi. Oggi, invece, quei gruppi finanziari ed economici sono tanto forti che, tenendo in mano i cordoni della borsa e degli investimenti, troppo spesso fanno carne di porco di leggi e Costituzioni. Arrivano perfino a vanificare i principi di sovranità e libertà dei popoli ed a stroncare la possibilità di crescita di quelli più poveri e deboli.
Certo sarebbe infinitamente meglio se si riuscisse a far rispettare in tutto il mondo anche le norme della Organization Internacional du Travail (0.I.T.), uniformando le condizioni di tutela e sicurezza dei lavoratori per evitare il loro sfruttamento e la concorrenza sleale e drogata che ne segue. Non dimentichiamo, infatti, che le imprese capitaliste tendono a massimizzare i profitti dei loro azionisti e ad accumulare patrimoni enormi anche sottomettendo e colonizzando interi popoli. Preciso di non essere radicalmente contrario alle ‘multinazionali’ ma di pensare che debba esserci una integrazione tra gli interessi ’globalisti’ che le caratterizzano e quelli delle collettività nazionali e locali. Non si può permettere, cioè, che il capitalismo agisca contro l’interesse collettivo di nessun popolo, che la ‘politica’ deve tutelare con le sue leggi. Il fatto, poi, che le condizioni concrete dei popoli siano differenti impone che i loro interessi collettivi siano tutelati da diverse autorità pubbliche, a cominciare da quelle dei molteplici stati, che possono tastare il polso delle realtà nazionali o di quelle ambientalmente anche più circoscritte. E‘ ovvio che gli stati non debbano essere necessariamente in conflitto tra loro ma possano stipulare accordi come quelli a cui ho fatto cenno in questo pezzo o tanti altri in vigore da tempi lontani.
Possono addirittura associarsi in federazioni o confederazioni come, io spero, succeda per la Unione Europea. Secondo me, lo stato italiano potrebbe disporre di una adeguata autorità se fosse governato da una efficiente Repubblica Presidenziale. Evidentemente io rifiuto l’idea di porre esclusivamente nelle mani del capitalismo la vita economico-politica ed il ‘mercato’. Non nego, però, l’utilità sociale dello stesso ‘mercato’, che consiste nell’incontro naturale tra la domanda e l’offerta di beni e servizi per ottenere dei guadagni, da parte dei produttori, e di vedere soddisfatte le personali esigenze dei consumatori. In questa ottica penso che la libera iniziativa e la proprietà privata producano benefici sociali, compresa una maggiore occupazione, se sono svolte nell’ambito di una programmazione tesa a tutelare gli interessi collettivi. Certamente rifiuto l’idea marxista per cui ‘ognuno deve dare secondo le proprie capacità e ricevere secondo i propri bisogni’. Infatti, date le inevitabili e naturali divergenze di opinioni e di aspettative individuali, ognuno concepisce diversamente dagli altri le proprie capacità ed i propri bisogni.
Ciò implica che solo altri, ossia gli ‘illuminati’ gerarchi del partito, potrebbero stabilire cosa, come, quando e quanto ognuno debba produrre e come, quando e quali bisogni personali debbano essere soddisfatti. Così è sorta la feroce e fallimentare tirannide del comunismo reale, logica estensione di quello ideale, che ha prodotto spaventosi danni planetari ed una sanguinaria ed orribile oppressione. Aggiungo, piuttosto, che, poiché la produzione di beni e servizi è ottenuta dall’unione del capitale e del lavoro, ai lavoratori dovrebbe essere riconosciuto il diritto di partecipare, proporzionalmente al contributo che essi danno alla produzione, alla gestione ed agli utili delle imprese da cui dipende il loro pane quotidiano. Ciò perché la proprietà privata dei beni produttivi ha una funzione sociale. Essa, cioè, oltre a produrre benefici per il proprietario, è naturalmente destinata a produrne altri con il lavoro. Questi ulteriori benefici potenziali, quindi, spettano di diritto a chi presta la sua opera. Non solo, le categorie produttrici, comprendenti tutti i produttori e, quindi, portatrici di grandi competenze professionali e degli interessi del Paese Reale, assieme ai rappresentanti eletti tramite i partiti, dovrebbero essere gli artefici di quella programmazione politico-economica di cui ho fatto cenno, che è fondamentale per la loro stessa vita. Magari i rappresentanti delle corporazioni potrebbero avere facoltà legislative su determinate materie, quelli dei partiti su altre mentre quelle di carattere più generale potrebbero essere trattate congiuntamente. Come si può notare, sono corporativista, anche se non provo affatto simpatia per il corporativismo burocratico e dittatoriale del fascismo ma per quello profondamente democratico della dannunziana ‘Carta del Carnaro’, di cui fu artefice principale il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, che morì a Parigi, esule antifascista.