Due anni senza Marco Simoncelli
Quando guardavo Marco Simoncelli correre trovavo che stesse un po’ stretto sulla moto. Diciamo che non aveva la bassezza del pilota per starci comodo. Marco Simoncelli era uno che si faceva notare nelle corse ma il titolo della classe intermedia lo consacrava sulla bocca di tutti. Marco era uno che amava vincere e se c’era una cosa che non gli mancava, era il coraggio. Lo aveva ereditato dalle minimoto. Anche lì era il più grande di tutti. Così in curva era più aggressivo, visto che in rettilineo calava. Uno stile che Marco si portava anche nel motomondiale. Marco era il nuovo pilota italiano che veniva su. Li avrebbe bastonati tutti. Anche il suo mito, Valentino Rossi che all’epoca delle minimoto era già un punto di riferimento. Marco arriva a correrci insieme ed è un avversario fastidioso, uno che se ce l’hai dietro dovevi controllarlo a ogni staccata. Uno “tanto duro in pista quanto dolce nella vita” che sotto il profilo umano non deludeva mai con quel suo modo maturo e infantile di porsi. Senza cambiare, nemmeno quando la sua popolarità aumentava per i successi sportivi. Marco era uno che aveva cominciato a correre con in numero 7 perché adorava Eddie Lawson a cui affibbiarono d’ufficio il suo 58, il numero di quando si iscrisse al campionato europeo 125.
Marco era uno che voleva vincere a tutti i costi. Di quei tipi che anche una partita a biliardino era una sfida all’ultimo sangue. Uno che la voglia di vincere l’aveva anche nelle cose da ridere. Uno che accendeva l’emozione in tutto quello che faceva, senza avere nessun tipo di rimpianto. Marco era un ragazzo con un grande sogno e che non si tirava mai indietro, perché lui la voglia di correre l’aveva sempre. Marco manca a tutti e a due anni è impossibile dimenticarlo, tantomeno i suoi valori che oggi attraverso la Fondazione Marco Simoncelli continuano a vivere in gesti di rilevanza umanitaria.
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