IRS: Tragedia che si poteva evitare
Nei momenti di dolore come quello che proviamo per le vittime della tragica alluvione che ha colpito la Sardegna in questi giorni, è spesso considerato appropriato osservare un rispettoso silenzio. Ci abbiamo provato. Abbiamo immaginato la sofferenza delle famiglie che hanno perso i loro cari, la rabbia dei lavoratori che hanno perso le loro attività ancora in piedi nonostante la crisi. Abbiamo pensato che qualsiasi polemica sarebbe stata sterile e inutile a consolare il dolore di un popolo piegato dalle sciagure. Ci abbiamo provato ma non ci siamo riusciti a stare zitti davanti a quest’ennesimo scempio.
Piangiamo le vittime, ma non possiamo esimerci dall’individuare i responsabili per i disastri che colpiscono periodicamente la nostra terra come se fosse per noi impossibile prevedere o scongiurare il peggio. La realtà che rende ancora più tristi le circostanze, è che di sicuro queste tragedie si sarebbero potute evitare adottando dei sistemi di prevenzione adeguati, edificando i centri urbani con criterio prevedendo una sinergia con i fattori morfologici naturali del territorio, predisponendo un piano paesaggistico funzionale alla vita dell’uomo e non alle speculazioni dei cementificatori, siano essi imprenditori o politici.
Anche lo stato italiano ha una grossa responsabilità nella distruzione dell’ambiente naturale sardo, ancora prima che ci imponesse i veleni dell’industrializzazione. Nel 1863, due anni dopo l’installazione del regno d’italia, lo stato emanò una legge con cui si davano in concessione alle imprese costruttrici duecentomila ettari di bosco d’alto fusto, in particolare roverelle e lecci, per la fabbricazione delle traversine per le ferrovie italiane. In meno di cinquant’anni furono legalmente rase al suolo cinquemila ottocento sessanta sette km quadrati di foreste primordiali. Quasi un quarto della superfice della Sardegna creando dei danni irreversibili. Lo Stato italiano, lo stesso che oggi sta stanziando qualche milione di euro per i danni causati dal “ciclone Cleopatra” in quanto a distruzione della Sardegna, in pochi decenni, ha superato abbondantemente quello che in parecchi secoli riuscirono a distruggere i Romani e i Cartaginesi messi assieme.
Oggi più che mai dobbiamo essere coscienti che è necessario pensare e praticare nuovi modelli di vita, ripartendo dalle comunità di paese e mettendo al centro la cultura dell’ambiente naturale, dedicando le nostre forze lavorative alla ricostruzione dell’ambiente naturale. Ripiantare gli alberi autoctoni ovunque è possibile, assicurare alle acque le loro sedi applicando il piano per le fasce fluviali spiegandolo e discutendolo con le popolazioni di modo che tutti ne capiscano l’importanza. Basta con le scelte imposte e calate dall’alto, l’obbiettivo deve essere quello di creare coscienza condividendo le scelte e le decisioni.
Diffidiamo dalla politica ambientalista che devia e nasconde il problema ecologico tra l’uomo e l’ambiente e che propina modelli industriali dal prefisso “eco” o “verde” che di compatibile con l’ambiente non hanno nulla.
La tutela e il ripristino dell’ambiente deve essere uno dei punti principali dell’agenda politica sarda, per ripensare e riprogettare l’evoluzione della Sardegna ripartendo dai paesi verso la loro ricomposizione in comunità coscienti culturalmente, moralmente ed economicamente.