A proposito di sversamento reflui nel Calich
Giunge in redazione una lettera aperta indirizzata al Sindaco di Alghero in merito alla querelle sullo sversamento di reflui nel Calich o riutilizzo degli stessi effluenti in agricoltura. Scrive il professore di Scienza del Suolo dell’Università di Sassari Sergio Vacca.
Egregio Signor Sindaco,
da osservatore delle cose di Alghero, mi permetta alcune riflessioni su un tema di grande delicatezza, che La vede coinvolta nei primi giorni del suo mandato. Mi riferisco al problema degli effluenti del depuratore fognario di S. Marco, che hanno alternativamente sbocco nello stagno del Calich o uso come acqua irrigua.
Non sono un esperto di ecologia applicata ai sistemi stagnali, ma conosco gli effetti dell’eccesso di nutrienti sui corpi idrici a debole ricambio, dei quali peraltro il Calich presenta caratteri peculiari; la produzione primaria che ne consegue si manifesta attraverso ripetuti bloom algali, con il corollario di colori e odori sgradevoli che algheresi e turisti hanno purtroppo imparato a conoscere.
Ho appreso dai media che Lei ha voluto fare subito il punto della situazione con tutti gli attori direttamente coinvolti. Gesto molto importante, Signor Sindaco. Mi permetta, tuttavia, di avanzare qualche dubbio sulla soluzione prospettata. L’uso dell’effluente come acqua irrigua potrebbe rappresentare una buona soluzione, alternativa allo sversamento dei reflui nel Calich, se venissero fatte salve diverse condizioni che potrebbero teoricamente rendere quel refluo adatto all’utilizzazione irrigua. Si parla di miscelazione al 50% con l’acqua proveniente dall’invaso del Cuga. Quando si parla di miscelazione, Signor Sindaco, deve intendersi anzitutto introduzione in un apposito contenitore di adeguate dimensioni di due liquidi di caratteristiche note, ovvero, di immissione in una condotta, della quale si conosce la portata, di un liquido di caratteristiche, nella fattispecie, diverse, in modo da assicurarne l’effettiva miscelazione nelle proporzioni prestabilite. Governano questi processi le leggi dell’idrodinamica.
Non è dato sapere – le cronache non riferiscono di questi dettagli – se, nel corso della riunione con gli esperti, si sia trattato di questi aspetti. Vede, Signor Sindaco, lo scorso anno, in accordo con la Collega dell’Università di Sassari Chiara Rosnati, Professore a contratto di Tecniche di Valutazione di Impatto Ambientale e con alcuni amici agricoltori, mi sono preso la briga di misurare costantemente per alcune settimane un parametro, dal nome un po’ curioso, la conduttività elettrica dell’acqua, che da conto della quantità di sali disciolti nel liquido. Il risultato ha mostrato una fortissima variabilità notte/giorno con valori bassi di notte (assimilabili ad acque prevalentemente del Cuga) e molto più alti di giorno, con picchi che superano i 1000 microsiemens (assimilabili ad acque prevalentemente reflue). La media mensile (circa 550 µS/cm) però rispettava i limiti cautelativi adottati dal Consorzio di Bonifica che prevedeva la miscelazione di 1/3 di risorsa irrigua proveniente dal depuratore e 2/3 dal bacino del Cuga. Quindi, la miscelazione, seppur su scala mensile formalmente nei limiti di legge, non rispondeva alle esigenze di omogeneità delle caratteristiche chimico-fisiche richieste per lo scopo irriguo. Ebbene, Signor Sindaco, i valori più alti misurati nella condotta irrigua, nelle ore canoniche per l’irrigazione, corrispondevano ai valori di conduttività dell’effluente del depuratore; viceversa, i valori minori corrispondevano a quelli delle acque provenienti dal Cuga. E’ bastata poi una serie di analisi di controllo per avere la certezza che la miscelazione propagandata era intesa come alternanza di immissioni nella rete irrigua di acqua tal quale del depuratore e acqua tal quale dal Cuga. Gli amici agricoltori mi hanno mostrato le loro condotte irrigue, i filtri di testata delle ali distributrici e, per quanto abbia cercato di scavare nella mia memoria, non mi era mai capitato di vederne così mal ridotte dopo una sola stagione irrigua. Senza contare le efflorescenze saline sul suolo, e via elencando. Vede, Signor Sindaco, nei nostri paesi, nei quali si è sempre fatta orticoltura, era usuale l’utilizzo dei cosiddetti “bottini”, ossia botti di legno o metallo contenenti liquidi organici, derivati dal metabolismo umano, che periodicamente venivano distribuiti, opportunamente miscelati ad acqua fresca in proporzioni che l’esperienza del contadino indicava, sulle colture ortive. Di queste esperienze, tramandate per secoli, ho avuto contezza già dalla mia infanzia. Il contadino, che conosceva bene il suo terreno, sapeva perfettamente quanto liquido organico poteva dare, in opportuna miscelazione all’acqua nativa, a quel tipo di suolo. Il sistema adottato lo scorso anno per le aree irrigue di Alghero, Signor Sindaco, andava in direzione opposta alle buone pratiche che dovrebbero contraddistinguere la pratica irrigua. Ciò che non è stato considerato è che l’uso irriguo di un’acqua reflua deve rispondere a criteri che – al di là di alcune generiche normazioni – garantiscano la compatibilità, sperimentalmente verificata tra il refluo, trattato ad un livello almeno del terzo stadio, ed un dato tipo di suolo. Non basta perciò stabilire in linea teorica una generica compatibilità tra un generico refluo ed un generico suolo; va viceversa stabilità la compatibilità effettiva tra quel tipo di refluo (del quale siano perfettamente note le caratteristiche e soprattutto il possibile scostamento da queste) e quel tipo si suolo. Per esemplificare, Signor Sindaco, quello che può andare bene (salvo verifica) per un suolo a tessitura sabbiosa, non va affatto bene per un suolo a tessitura argillosa, i cui minerali prevalenti siano, ad esempio, rappresentati dalle montmorilloniti.
Signor Sindaco, mi scuso per alcuni tecnicismi ma, ahinoi, nell’uso irriguo di un refluo, che definisco nelle lezioni ai miei studenti una “pericolosa arma a doppio taglio”, ossia “risorsa, ma anche potente veleno”, non possono esserci scorciatoie. Negli anni, ho potuto registrare alcuni significativi successi, ad esempio l’utilizzo delle acque provenienti dal depuratore terzo stadio della città di Cagliari, che nel 2002 – anno di spaventosa siccità – hanno salvato la frutticoltura e l’agrumicoltura della Sardegna meridionale. Ma lì – mi permetta di ricordarlo – prima di questa rilevante, anche sotto il profilo scientifico-tecnico, esperienza c’erano ben 6 anni di ricerche, condotte dall’Ente Flumendosa con il concorso di numerose Università e Centri di Ricerca italiani e stranieri. Ma, ahiloro, ho potuto registrare anche cocenti insuccessi. Un’importante area irrigua nei dintorni di Tunisi è desertificata per l’uso sconsiderato di acque reflue non o poco trattate. Più di recente, a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, ho potuto osservare situazioni estremamente critiche nell’uso del refluo “mal” trattato del depuratore fognario, oramai rifiutato dalla totalità degli orticoltori di un’area irrigua contigua. Mi permetto, Signor Sindaco, di suggerirle di rivedere con molta attenzione l’intera materia. Mi permetta un’ultima annotazione. E’ notorio che un progetto, finanziato dall’ex Cassa per il Mezzogiorno, vorrebbe allocare i reflui del depuratore fognario di Sassari nel lago del Cuga. E’ pure notorio che siano state realizzate gran parte delle condotte adduttrici. Signor Sindaco, cerchi di approfondire la materia e – se mi permette un suggerimento – si opponga con tutte le sue forze a questa sciagurata operazione. Le ricordo che il Cuga ha un ruolo strategico nell’approvvigionamento idropotabile della sua Città; per gran parte della stagione estiva, Alghero è approvvigionata esclusivamente dalle acque del Cuga, in quanto il peso dei consumi nelle aree irrigue e turistiche del nord Sardegna è tale che il sistema del Coghinas non riesca ad approvvigionare anche il Nord-Ovest. Signor Sindaco, si tenga ben stretto il Cuga, i suoi cittadini gliene saranno grati.
Sergio Vacca
Professore di Scienza del Suolo
Università di Sassari