Aggressione alla vigilessa, insulti alla Kienge, calata di braghe sul caso 2 marò
Leggo dell’indignazione di molti per l’aggressione, arricchita di sputi e insulti che, in una città italiana, alcune zingarelle hanno compiuto contro una vigilessa. Indignazione che condivido di cuore perché in una società civile è inconcepibile che venga oltraggiata non solo la persona della vigilessa, ma la comunità nel cui nome e interesse ella svolge la sua attività. Questa, purtroppo è l’Italia di oggi. Non conosco i dettagli della vicenda e non mi meraviglierei neppure se anche gli appartenenti alle Forze dell’Ordine fossero responsabili di errori, anche pesanti. I cittadini, comunque, dispongono degli strumenti per difendersi legittimamente e far punire gli eventuali i colpevoli.
Aggiungo che, in ogni caso, in uno stato democratico e serio, verso chi oltraggia la Pubblica Autorità non può esserci altro che tolleranza zero. Ovviamente mi indignano anche gli insulti che nientemeno che il vice presidente del senato, ossia il sostituto della seconda carica della Repubblica, ha rivolto al ministro Kienge. Se una simile deficienza del senso dello Stato e del rispetto delle istituzioni è manifestata nientemeno che dal vice presidente del senato, ci si può aspettare che la pubblica autorità venga rispettata da qualunque altro individuo, italico o zingaro che sia?
Io trovo schifoso il fatto che, per racimolare qualche manciata di voti, una personalità di così alto livello stimoli e assecondi i peggiori e volgari istinti del popolaccio. Con questo termine non voglio offendere la massa degli elettori , qualunque sia il partito per cui votano, ma coloro che si beano di espressioni indecenti e oltraggiose verso chiunque, bianco, nero, rosso o giallo. Se, poi, come è successo, il capo bastone, anche se oggi un po’ azzoppato, del partito del suddetto vice presidente del senato afferma, tra gli appalusi osannanti dei suoi giannizzeri, che lui il tricolore lo appenderebbe nel cesso, mi chiedo come possiamo pretendere che i valori della nostra civiltà e le nostre istituzioni possano essere rispettati da qualsiasi straniero, clandestino o no!
Francamente non avrei esitato a sbattere fuori dalle sedi istituzionali chi ha usato quelle espressioni. Aggiungo che, con le sua reazione intelligente, la signora Kienge ha dato una lezione di stile ai beceri politicanti che, con le loro volgarità, invece danno un validissimo contributo a ridurre questa povera Italia ad una repubblica delle banane. Altrettanto francamente dico, comunque, che non condivido affatto l’idea della Kienge e dei suoi fidi seguaci che, in applicazione del “jus soli”, ai figli degli immigrati debba immediatamente essere concessa la cittadinanza italiana. Per essere cittadini italiani, infatti, penso che ci si debba riconoscere in un popolo, nella sua cultura, nelle sue leggi, nelle sue istituzioni, nella sua Costituzione. Significa, cioè, volersi inserire in quel popolo , pur nel rispetto della libertà e delle differenze reciproche, e voler operare con chi già ne fa parte per realizzare un futuro comune, compresi i cambiamenti che vi sono annessi e connessi.
E’ logico, mi chiedo a questo punto, legare automaticamente , al semplice momento della nascita la cittadinanza, la appartenenza a una comunità, senza accertare la volontà di integrazione con la comunità stessa? Come possiamo comunque sperare, aggiungo, che gli immigrati, clandestini o no, rispettino le nostre pubbliche autorità, le nostre leggi e la nostra sovranità nazionale se non le rispettano neppure i nostri governanti? Mi riferisco alla rinuncia dei diritti sovrani della nostra Repubblica, attuata consegnando alla (in)giustizia indiana i nostri due marò e accettando supinamente , così, una plateale e gravissima violazione delle leggi internazionali perpetrata in danno al nostro popolo.