Alghero ha perso l’aereo, ma ha trovato la via dell’olio
Da settimane in città non si parla d'altro. E non solo in città. La dichiarazione di Ryanair di voler chiudere buona parte delle tratte Da e Per Alghero, ha scatenato il finimondo.
Da settimane in città non si parla d’altro. E non solo in città. La dichiarazione di Ryanair di voler chiudere buona parte delle tratte Da e Per Alghero, ha scatenato il finimondo. Le dichiarazioni dei politici coinvolti, sia a livello comunale che regionale, si susseguono a ritmo incalzante. Si discolpano e lanciano accuse. Presentano la loro ricetta per uscire dal baratro in cui siamo finiti. Ciascuno, cerca di cavalcare l’onda per guadagnarsi una fetta di visibilità; a modo suo. A loro piace, navigare nelle emergenze. Li fa sentire necessari e importanti. Ma l’unica cosa veramente importante adesso, è cercare di capire che cosa sia accaduto. Per porvi rimedio, se ancora possibile, e non commettere più gli stessi errori del passato.
Ryanair è una compagnia privata che, come tutte le altre, ha necessità di trarre profitto dalle sue attività, per continuare ad operare e svilupparsi. Si è inserita in un mercato già maturo e conquistando fette di mercato sempre più consistenti, lo ha addirittura ampliato. Grazie ad una politica commerciale aggressiva e spregiudicata. In una prima fase, ha compresso i propri costi di funzionamento al minimo, in modo da offrire biglietti a prezzo più basso delle altre compagnie e sottrargli clientela. Aggressiva: servizio basico, niente fronzoli, scali di provincia e durata del volo infarcita di proposte commerciali. In una seconda fase, avendo già conquistato fette di traffico importanti, ha potuto imporre la legge del più forte, minacciando il proprio ritiro dagli scali, qualora non ci fosse stato un minimo supporto economico. Spregiudicata: prima li resuscitava, con milioni di passeggeri, poi, li minacciava di togliergli l’ossigeno; andando via.
Condivisibile o meno dal punto di vista etico, questo è quanto può fare un’impresa per stare sul mercato. Ma per funzionare, bisogna essere almeno in due. Se da una parte c’è chi offre, dall’altra ci deve essere chi è pronto a comprare. E se chi vende è normalmente un lupo famelico, chi compra, non può e non deve essere un ingenuo agnellino. Altrimenti si fa la fine di Matteo. Un mio amico di Sarule, in provincia di Nuoro.
A metà degli anni ’70, attratto dalle promesse di una vita migliore, aveva venduto il gregge per entrare in fabbrica a Ottana. Un paese vicino al suo. Ma già dopo una decina d’anni, quando il sogno industriale della Sardegna svanì, fu licenziato e passò un brutto momento. In seguito, con l’aiuto della moglie, si riprese. A fatica. Insieme a lei, infatti, aveva avviato un piccolo laboratorio per la produzione di dolci sardi. Lei impastava, mentre lui vendeva e faceva le consegne. I loro savoiardi erano i migliori che avessi mai potuto assaggiare. Così come gli altri dolcetti. Ma la mancanza di esperienza commerciale, gli impediva di crescere come avrebbe voluto. Finché un giorno, con un grosso colpo di fortuna conobbe il responsabile acquisti di una grande catena di supermercati. Bastò fargli assaggiare i prodotti e il gioco era fatto. Arrivarono i primi ordini e per garantire le consegne in modo puntuale, prese a produrre mattina e sera; a ritmi forsennati. Presto, ci fu la necessità di lavorare anche la Domenica e dovette assumere diversi aiutanti. Il lavoro del suo nuovo cliente, però, crebbe talmente tanto che in poco tempo, non riuscì più a seguire quegli altri pochi, che già serviva in precedenza. Nel frattempo, tra l’altro, aveva dovuto comprare delle macchine nuove per produrre meglio e di più e siccome il laboratorio era diventato piccolo, si era trasferito in un piccolo capannone della zona artigianale; comprato con un mutuo agevolato.
Andò avanti così per qualche anno, ma, nel bene o nel male, nulla è per sempre. Il responsabile acquisti della catena di supermercati X, si trasferì; di azienda e di settore. Arrivò uno più giovane, spregiudicato. Tempo poche settimane, trovò un’altra azienda che faceva un prodotto simile, ma a costi inferiori. Dall’oggi al domani, non gli ordinò più nulla e il mio amico Matteo, di punto in bianco, si trovò senza più un cliente, senza più un ordine, ma con il mutuo del capannone, i leasing delle macchine e i dipendenti da pagare. Vi risparmio il resto della storia, perché è molto triste ed allo stesso modo, lascio a voi, cercar di capire se e dove il mio amico può aver commesso qualche errore e perché. Quello che conta è che una storia di tutti i giorni, di uno di noi, sia così straordinariamente simile, nei concetti e negli accadimenti a quella di Alghero e la Ryanair.
La nostra città, infatti, così come Matteo, non avrebbe dovuto affidarsi quasi completamente ad un unico vettore aereo. Ma soprattutto, non avrebbe dovuto perdere tutti questi anni nella produzione del “nulla”. Siamo andati avanti a gestire l’emergenza del momento, senza programmare la “crescita” parallela di territorio e servizi; senza avere un’idea precisa del nostro prodotto; senza averlo “confezionato” adeguatamente; senza averlo spinto e promosso, almeno laddove esisteva un collegamento aereo a garantire un facile flusso di nuovi turisti; senza fare “sistema” e senza creare una fitta rete commerciale, capace di coprirci le spalle; insomma, senza tutti quei piccoli accorgimenti che oggi ci avrebbero permesso di salutare serenamente la Ryanair, con un semplice Arrivederci. Perché lei, sarebbe tornata. E presto. Oh, se sarebbe tornata. Ad accaparrarsi i grandi volumi di traffico, Da e Per Alghero. Ora, invece, come il mio amico Matteo, siamo rimasti seduti su un grande cumulo di macerie a leccarci le ferite.
E non ci consoli il fatto che le responsabilità politiche locali, di questo disastro annunciato, siano chiare ed evidenti. Perché non servirà mettersi al riparo, in un prossimo futuro. Così come non servirà smuovere i palazzi della Regione, colpevole anch’essa, per altri aspetti. Decine di legislature, di ogni colore e forma, non sono state sufficienti per pretendere e ottenere, dal governo centrale, il riconoscimento del diritto di ogni sardo: potersi muovere come lo fa un milanese, un romano o un napoletano. Non a parole, ma con contributi economici sonanti. Non aiuti di stato alle compagnie aeree, ma vera continuità territoriale per noi tutti. Per non essere più, cittadini dalla doppia faccia. Italiana, quando paghiamo le tasse; Sarda, quando riceviamo i servizi. E la via dell’olio ? E’ quella che è rimasta al sindaco Bruno, per arrivare fino ad Assisi. In pellegrinaggio. Che il Santo Patrono d’Italia ci protegga da tutti costoro.