Dall’Università al Terminus, quando il biologo marino diventa ristoratore
Ad Alghero l’intuizione di Gian Luca Dedola: la ristorazione riparte da chi il mare lo ha studiato a fondo
La cucina non è una scienza, fare ristorazione non è come salire in cattedra, una ricetta non è una formula. Ma se del mare conosci ogni dettaglio, se l’hai studiato, scandagliato, analizzato, fotografato in lungo e in largo, è più probabile che i piatti che servi nell’attività siano la perfetta alchimia di profumi, sapori, colori e suggestioni che ti appartengono tanto quanto pentole, utensili e altri arnesi del mestiere del ristoratore. Parola di Gian Luca Dedola. Algherese, 47 anni, metà uomo e metà anfibio, tanta è la passione sfrenata che ha sempre avuto per il mare e per il mondo sott’acqua, oggi è, insieme alle sue socie Sara e Noemi entrambe esperte del settore, contitolare del ristorante Terminus, ad Alghero. Ma prima di tutto è un dottore di ricerca in Biologia ambientale, vincitore di prestigiosi riconoscimenti in Zoologia, come quello ottenuto a Bologna nel 2011 in occasione di un importante congresso internazionale.
Laurea in Scienza Naturali, passioni collaterali per la chitarra e la macchina fotografica, Dedola è allievo di docenti del calibro di Marco Casu e Marco Curini Galletti – con cui ha conseguito il dottorato – ma oggi il campo su cui continua a fare ricerca e sperimentazione è il piccolo ristorantino di via Kennedy, pochi tavoli e una scelta decisa sulla qualità della materia prima e dei metodi di preparazione, ai quali ha dedicato anche l’attività didattica condotta nei corsi di Scienze degli alimenti all’Alberghiero di Sassari. «L’idea di realizzare una cucina legata ai prodotti del mare, senza avere per forza di cose una connotazione regionale tipica, è nata proprio durante un viaggio di ricerca nel Mediterraneo», racconta il ristoratore con tanto di dottorato partendo dalle origini della sua avventura professionale. «Mi trovavo in Sicilia è sono rimasto folgorato dai bucatini con le sarde alla siciliana, profumati con spezie orientali, dal coriandolo alla curcuma», ricorda. Ed è sempre in viaggio, in quei tempi tra ricerca scientifica e scoperta di sé stesso, che Gian Luca Dedola ha iniziato uno “studio” che oggi approda a tavola col nome di “Culurgiones Pulp”: uno dei prodotti simbolo della pastificazione tradizionale sarda, al Terminus viene presentato con la classica salsa di polpo alla partenopea.
Con un background del genere, il ristoratore algherese non deroga ad alcuni principi fondamentali dell’ambientalismo contemporaneo: l’utilizzo sostenibile della fauna marina, mutuando anche buoni esempi dalle cucine di altri territori regionali, nazionali e internazionali ai quali il Terminus strizza l’occhio volentieri, a iniziare dalla cucina orientale e dai suoi incroci con la Sardegna, esaltando prodotti considerati “poveri” semplicemente perché in mare sono in abbondanza, anziché sfruttare specie il cui utilizzo eccessivo sta rischiando di provocare l’estinzione, come nel caso del tonno. “La selezione attenta di precise porzioni delle carni di tonni meno famosi rispetto a quello rosso ci permette di elaborare piatti particolari, originali, più diffusi sul mercato asiatico, dove hanno anche un valore economico differente – spiega lo studioso della cucina – se usano correttamente i prodotti locali è possibile offrire una cucina dal gusto internazionale a costi sia economici che ambientali sostenibili».
Per uno che ha sfidato gli abissi sin da quando era un ragazzo, e che alle massime profondità ha dedicato un percorso di studi eccellente, il baratro prodotto dal lockdown è solo l’ennesimo saliscendi da affrontare con coraggio, fiducia, entusiasmo e col sorriso. «Abbiamo riaperto da poco, solo quando abbiamo deciso che ci siano le condizioni per continuare la nostra missione», conferma Gian Luca Dedola. «Vogliamo che il percorso di ricerca e sperimentazione che ha ispirato la nascita di questo posto resti nei nostri piatti – conclude – e si proponga come qualcosa di unico, di diverso, anche dal punto di vista ambientale».