Dico la mia: “Le prossime politiche? Uno scenario da Caporetto”
Non c’è dubbio che io non sia certo la persona più titolata per esprimere un endorsement diretto verso un partito piuttosto che un altro, al di là del fatto che non posso pretendere di orientare le intenzioni di voto degli italiani; tuttavia, posso pur sempre esprimere un’opinione.
La coalizione di centrosinistra formata da Pd e Sel, incapace di uscire dalle secche delle ideologie del secolo scorso, se fino a poco tempo fa si avviava ad una vittoria praticamente certa a passo di carica, ora rischia di fare la fine di chi entra al Conclave da Papa per uscirne Cardinale. Una legge elettorale che garantisce l’ingovernabilità, l’inarrestabile ascesa nei sondaggi del rinato Berlusconi (che non smetterà di ringraziare la sua cocciutaggine che l’ha spinto ad essere ospite da Santoro e Travaglio, inconsapevoli autori di un assist formidabile per la ricandidatura del Cav) e l’eterno ritorno dell’alleanza del Pdl – dal quale attendiamo ancora il compiersi della rivoluzione liberale – con la Lega: tutti questi elementi suggeriscono che la gioiosa macchina da guerra di Bersani e compagni possa fare la fine che fece l’Unione di Prodi alle elezioni del 2006, rischiando, nella migliore delle ipotesi, di non riuscire ad avere la maggioranza al Senato, costringendosi a legarsi mani e piedi al centrino di Monti.
A ciò si aggiunga il fatto che quella che sarebbe dovuta essere l’alba della Terza Repubblica è in realtà una Seconda che scala verso la Prima: basti guardare le prove di Große Koalition tra Bersani e Monti, con buona pace del voto degli italiani giacché, a prescindere dal loro voto, la fisionomia politica del Governo si deciderà ad urne chiuse.
Lo stesso Monti, poi, ha rinunciato alla statura e all’autorevolezza da tecnico (su cui sono pesati pregiudizi complottisti) diventando un politico tra i tanti e cercando di resuscitare con parti di cadavere (Fini e Casini), un fulmine (la benedizione dell’Europa: ” è l’Europa che ce lo chiede”) e un’agenda di buoni propositi e nient’altro qualcosa di tremendamente simile alla DC da una parte, senza averne il radicamento nel territorio, e alla Lista Dini degli anni Novanta dall’altra.
Dall’altra parte, Gobetti diceva che in Italia non abbiamo né veri rivoluzionari né veri conservatori, ma solo demagoghi: tipo Beppe Grillo, uno che ha sì il merito di contenere la sana rabbia del popolo italiano nei limiti dell’esercizio democratico, ma che vanifica il tutto con un programma di governo improponibile basato sulla nazionalizzazione selvaggia dell’economia e propositi da caudillo (diffido da chi desidera imbastire processi di popolo, tipico di ogni rivoluzione poi sfociata in dittatura).
Su Ingroia, che fino a poco tempo fa gestiva l’indagine sulla trattativa Stato – Mafia – mica una controversia condominiale – e adesso è a capo di una mini-coalizione comunista (dando così ragione ai pregiudizi sulle toghe di parte: chapeau), preferirei tacere.
Nonostante tutto, personalmente non mi sottrarrò al mio dovere civico di elettore, se non altro perché votare è pur sempre legittima difesa. In questo scenario da Caporetto forse l’unico che si salva da queste macerie può essere Oscar Giannino, un economista di valore, che con il suo partito/movimento Fare-Fermare il Declino è l’unico a proporre un programma autenticamente liberale e libertario, contro una tassazione iniqua, un debito pubblico fuori controllo, un assistenzialismo che sta devastando il Paese figlio anche di una Costituzione che andrebbe finalmente rinnovata e a favore di una regolamentazione del conflitto di interessi (manco Bersani ne parla a momenti). Una cosa è certa tuttavia: comunque andranno le elezioni, la sovranità popolare sarà sempre più appaltata all’Europa, a partire dalle politiche di bilancio e crescita: cosa alla quale, i partiti così come i cittadini, dovranno sempre di più fare i conti.