Governo del cambiamento oppure del fallimento
L'opinione di Vittorio Guillot
Che pensare del governo formato dal M5S e la Lega? Ho espresso la mia soddisfazione per il modo in cui ha agito per eliminare il criminale traffico di immigrati irregolari dal Nord Africa e le infami speculazioni che ci hanno imbastito sopra tanti interessati soccorritori ed ‘accoglienti ‘. Certo c’è ancora molto da fare per attuare i promessi rimpatri di quei 600.000 clandestini che i precedenti governi ci hanno ‘regalato’ e di cui tutto si ignora, persino chi siano, come si mantengano e dove vivano. Purtroppo temo che l’attuazione di questo provvedimento sia estremamente difficile. In altre occasioni ho criticato Salvini per le sue sparate fuori luogo e le sue indebite ingerenze nelle competenze della magistratura, nelle operazioni di soccorso della Guardia Costiera, nella chiusura dei porti. Per la legge del contrapasso ho anche criticato le entrate a gamba tesa di certi giudici nella politica ed ho auspicato una riforma che impedisca sia l’ingerenza della politica nella magistratura che della magistratura nella politica. Ancora non vedo alcuna iniziativa governativa o parlamentare per risolvere questo annoso problema. Avrei anche voluto che fosse posta in essere qualche iniziativa per rendere stabile il governo, eliminando i ricatti propri del sistema partitocratico, e che i rappresentanti del Paese Reale facessero parte del Parlamento, togliendo il tappeto sotto ai piedi ai padroni dei partiti. Perciò avrei visto molto bene la proposta di attuare una Repubblica Presidenziale ma, purtroppo, un simile argomento non è all’ordine del giorno dei nostri sommi capi. Ho pensato anche che il salviniano Decreto Sicurezza andasse nel verso giusto ma che fosse una misura ancora troppo timida per incidere in misura molto più energica e che, quindi, occorresse modificare in modo più severo tutte le leggi che incoraggiano i delinquenti a commettere pressoché impunemente i loro crimini.
Aggiungo che non mi piacciono affatto i grandi burocrati che interferiscono con la politica per favorire se stessi e chi li ha sistemati su certe poltrone, come protestò persino Renzi. Per ‘par condicio’ non mi piacciono neppure i politicanti, si tratti pure di ministri, che vogliono ingerirsi nella pubblica amministrazione per piegare le regole alle loro esigenze elettorali. Insomma, mi farebbe piacere che ognuno stesse serenamente al posto che gli compete e che venisse applicata una seria e democratica separazione dei poteri dello stato. Infatti il pubblico dirigente, ma anche il più modesto impiegato, deve certamente ottemperare agli indirizzi politici purché, però, siano tradotti in una legge democraticamente approvata secondo le procedure previste. Ogni riferimento alla diatriba sorta tra Di Maio e il Ragioniere dello Stato non è affatto casuale ed io sto dalla parte del ragioniere, per quanto poco possa valere il mio parere. Piuttosto, dal mio punto di vista, per evitare il vassallaggio della pubblica amministrazione alla politica, occorrerebbe evitare in tutti i modi il così detto ‘Spoil System’, tanto caro a quel citato vice premier. Lo ‘Spoil System’, infatti, consiste nel fatto che un politico, in particolare un ministro, una volta arrivato ad occupare un certo posto, possa cacciare i funzionari nominati dal suo predecessore e sostituirli con altri di sua fiducia.
Ovviamente ciò allo scopo di flettere l’applicazione delle leggi, compito primario della pubblica amministrazione, secondo gli interessi chiari o torbidi del ministro e del suo entourage ma non secondo quelli della comunità. Il personale amministrativo, piuttosto, dai grandi capi in giù, sia scelto attraverso concorsi ideologicamente ‘asettici’, per titoli ed esami, con cui siano valutati i loro meriti e la loro preparazione tecnica. I ministri semmai, attenendosi alle loro competenze e muovendosi nel rispetto delle leggi, indichino quali sono gli obiettivi che la pubblica amministrazione deve raggiungere e le fornisca i quattrini, i mezzi ed il personale necessario. Per quanto riguarda la spesa pubblica, ad esempio, indichino quali interventi intendono finanziare, con quali imposizioni fiscali e con quali ‘tagli’. Ciò per un ministro come Di Maio, che in campagna elettorale ha affermato di sapere come finanziare esattamente una certa spesa, dovrebbe essere una cosa facile facile tanto che non dovrebbe pretendere che il ministro dell’economia, i suoi tecnici od il Ragioniere dello Stato trovino i fondi per realizzare le sue promesse. Ripeto, infatti, che la pubblica amministrazione deve solo portare ad esecuzione le decisioni che i politici trasformano in legge. Certamente l’economia deve essere diretta dalla politica e non dal mercato e dalle lobby capitaliste e finanziarie che gli stanno dietro.
La Politica, però, deve fare i conti delle risorse attuali e potenziali ed indirizzarle nel senso voluto. Quanto alla ripresa economica, credo nella necessità di una politica espansiva, del tipo di quella keynesiana che portò fuori gli U.S.A. e l’Italia dalla grande depressione degli anni ’30 e che fu alla base del nostro ‘miracolo economico’ post bellico. Il deficit causato da spese maggiori alle entrate, infatti, può essere un fatto positivo. L’importante è che queste spese pubbliche siano orientate verso la produzione di maggiori beni e servizi. In tal modo l’aumento dei redditi da lavoro consentirebbe una tassazione anche modesta ma diffusa che porterebbe alla copertura del deficit ed alla riduzione del debito pubblico. Mi pare che così si otterrebbe la sostenibilità del debito e l’equilibrio del bilancio voluto dalla Costituzione. In altre parole certi ‘parametri’ potrebbero essere sforati, con esiti benefici sull’economia, solo se si avesse una idea molto chiara sulla adozione delle misure fiscali che non colpiscano ma agevolino la produttività delle imprese, la formazione di professionalità più adeguate alle loro esigenze ed alla loro competitività su scala addirittura globale. E’ chiaro, almeno per me, che nella predisposizione di queste misure economiche e fiscali, che poi si inquadrano nel famoso DEF, il politico, che deve indicare l’obiettivo finale, abbia necessità della collaborazione dei tecnici.
Occorre, quindi, che ne valorizzi capacità, meriti e competenze e non le mortifichi con il clientelismo ed il ‘lecchinismo’, come ho già detto, annessi e connessi allo ‘spoil system’. Occorre anche che si faccia una reale e profonda lotta a chi non paga le tasse. Purtroppo la così detta ’pace fiscale’ di questo DEF mi sembra che premi, ancora una volta, gli evasori fiscali più incalliti. Anche la riduzione delle detrazioni fiscali a mio avviso costituisce una penalizzazione per chi paga regolarmente i balzelli. Tornando al deficit di questo DEF, mi sembra che il suo aumento non sia orientato verso spese produttive ma verso quelle improduttive. Così è destinato a creare miseria. Infatti, attraverso la tassazione, si sottraggono alle imprese i denari che vengono dilapidati senza che si creino nuove produzioni, nuovi posti di lavoro e nuovi redditi. Non solo, i debiti pubblici contratti diventano ancora più consistenti a causa dei maggiori interessi che devono essere pagati a chi acquista i titoli di stato, con cui si ottengono i prestiti per quelle spese. Ovvio che si genera, in tal modo, un impoverimento generale, un peggioramento di tutti i pubblici servizi e l’impossibilità di rinnovare e modernizzare le strutture economiche.
Purtroppo ho la sensazione che la grande mole di denaro necessaria per finanziare il così detto ’reddito di cittadinanza’ si muova verso questa strada sbagliata, che porta verso l’assistenzialismo parassitario. Si dice che gli assistiti, disponendo di quattrini, sarebbero indotti a spenderli e che, così, l’economia riceverebbe comunque una spinta positiva. Non sono del tutto d’accordo. Infatti l’aumento di domanda, non accompagnata da un corrispondente aumento della produzione, potrebbe causare l’aumento dei prezzi e l’inflazione. Inoltre i quattrini dati attraverso l’assistenzialismo potrebbero essere spesi per acquistare beni prodotti all’estero, ad esempio in Cina. Così si avrebbe una fuga di denari italiani verso altri Paesi, a tutto vantaggio della loro economia ma non della nostra. Spero che queste mie considerazioni, sicuramente di modesto valore, dato che non sono un economista, vengano smentite dai fatti, ma sono molto pessimista.