Il cuore sintetico non è più fantascienza
Per gli scettici si tratta di procedere sulla strada che nella narrativa fu del dr. Frankenstein, per gli entusiasti è invece l’opportunità offerta dalla scienza di curare malattie ad oggi incurabili. Parliamo delle cellule staminali e del loro utilizzo nella rigenerazione degli organi. Il Wall Street Journal compendia oggi tutti gli sviluppi sulla materia, partendo dalla notizia rivoluzionaria degli studi condotti sulla creazione di un cuore sintetico, capace di funzionare (e crescere) in maniera quasi del tutto autonoma. Arrivare agli studi sul cuore umano, prelevato da un cadavere e ripulito a dovere, che il dottor Francisco Fernandez-Aviles mostra su un vassoio d’acciaio, ha richiesto prima lo sviluppo di ricerche ed esperimenti su altri organi e tessuti. Si è partiti nel 1996 con la vescica. Partendo dallo studio e dalle necessità di bambini con malformazioni alla vescica, il dott. Anthony Atala, direttore del Wake Forest Institute Medicina Rigenerativa a Winston-Salem, NC, è giunto col suo team a crearne una in laboratorio, impiantata per la prima volta nel 1999. Si è trattato di un successo tale da ribaltare la visione della comunità scientifica, dato che solo nel 1980 erano davvero pochi coloro che credevano nella generazione sintetica degli organi umani. Dopo il successo della vescica, la squadra del dott. Atala prosegue nlla bioingegneria, dai vasi sanguigni ai semplici fegati umani.
Dagli esperimenti del dott. Atala si è potuto procedere a test più complessi. Nel 2011 Alex Seifalian, un ricercatore londinese, ha creato una trachea sintetica partendo dalle cellule del paziente, bisognoso di trapianto a causa di un cancro. La trachea, però, non è stato il punto di arrivo di Seifalian e dei 30 ricercatori che compongono il suo gruppo. La creazione del naso ha sviluppato ulteriormente le tecniche del dott. Seifalian. Si è imposta in primo luogo la necessità di creare un’impalcatura interna che sostituisse quella naturale di collagene e che fosse accettata dall’organismo. Si è giunti ad una soluzione di materiali hi-tech che utilizzano resine e fibre vegetali e che si strutturano secondo il modello a nido d’ape che caratterizza le ali della farfalla. Il materiale così ottenuto si è mostrato sufficientemente duttile, resistente ai batteri e accogliente per il contenimento di cellule grazie ai pori presenti naturalmente. Analizzato il naso del paziente, è stato riprodotto uno stampo e versato all’interno il materiale prodotto in laboratorio, con aggiunta di sale e zucchero tali che la parete venisse resa ancora più porosa.
A questo punto interviene l’uso delle cellule staminali, che, estratte da una parte del corpo, possono “crescere” e diventare cellule specializzate proprie di un determinato organo o funzione. Adoperate quindi nello stampo con l’aggiunta di prodotti chimici che ne orientassero la crescita, si è potuta creare la cartilagine necessaria all’ulteriore sviluppo del naso. Mancava a questo punto la pelle, che non è possibile produrre ex novo. Il dott. Seifalian concluse dunque che non si poteva far altro che impiantare il naso posticcio altrove nel corpo, in modo che venisse rivestito naturalmente. Si pensò in primo luogo alla fronte, ma l’idea di portare il naso lassù per giorni o mesi non piacque al paziente. Alla fine è stato impiantato sotto l’avambraccio. Se il processo di crescita della pelle andrà a buon fine, il naso verrà ricollocato nella sua posizione naturale e arricchito di cellule staminali che diverranno poi epiteliali. L’ultimo passo sarà collegare i capillari facciali al naso in modo da poter assicurare il sostentamento delle cellule. Così fornito, l’organo riacquisterà il senso olfattivo. L’intero processo potrebbe richiedere 6 mesi, per un costo complessivo di 40.000 dollari (che al momento non gravano sul paziente, trattandosi di una cura sperimentale). Lo stesso processo è stato utilizzato per le orecchie, tanto da portare il dott. Seifalian a concludere “Stiamo effettivamente lavorando a un volto sintetico: se si possono fare orecchio e naso, non è rimasto molto”.
Il team del dott. Aviles sta lavorando invece alla creazione del cuore. Partendo da un piccolo ripostiglio, nel 2010 è giunto, con il suo team di circa 10 collaboratori, ad un vero e proprio laboratorio, fornito di tutte le necessità del caso. Gli studi del dott. Aviles nascono e si sviluppano in Spagna, che risulta essere, tra l’altro, il paese con la maggiore percentuale di donazioni di cuore al mondo. Eppure, afferma il dottore, solo il 10% di chi ne fa richiesta, riceve il trapianto. Lo sviluppo della medicina legata alle cellule staminali, del resto, si muove dalla necessità di portare equilibrio tra domanda e offerta di organi. Eppure il cuore è forse l’organo più complesso da riprodurre, dal momento che le cellule al suo interno svolgono le funzioni più disparate, come regolazione del ritmo, la conduzione di segnali elettrici, la creazione dei vasi sanguigni, etc. Una complessità superata dall'”intelligenza” delle cellule staminali, che, inserite nel cuore, hanno sviluppato immediatamente capacità diverse, come se fossero informate sulle necessità del lavoro e sulla distribuzione delle competenze. Ovviamente la complessità del cuore non è risolta dall’intelligenza delle staminali. La quantità di ossigeno e nutrienti che l’organismo deve fornire alle cellule del cuore è regolata dal grembo materno nei mesi della gestazione; un meccanismo di regolazione che è stato riprodotto da un bioreattore che porta all’organo i nutrienti necessari ed espelle quelli in eccesso. Il tutto con estrema delicatezza per non uccidere le cellule, ma conservando il flusso di quasi 4 litri di sangue al minuto.
Il cuore ha bisogno di interconnessioni elettriche che funzionino costantemente, per garantire le quali il team spagnolo deve utilizzare uno strumento ampiamente noto, quello del peacemaker. Il dott. Aviles ha stimato i tempi di preparazione in laboratorio e sperimentazione pari a 5 o 6 anni, ma, considerati i limiti normativi e la necessità di garantire da subito un elevato standard di sicurezza, è più realistica un’attesa di 10 anni. La dott.ssa Taylor, che nel campo avviò test pioneristici sul cuore dei topi e che oggi osserva con attenzione gli studi del tema di Aviles, ha osservato che “Abbiamo aperto una porta e mostrato che è possibile [trapianto del cuore, ndr]. Ora non è più fantascianza, è diventata scienza”.
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