Il PD diventi il partito del lavoro e della crescita
Siamo attraversati da una profonda crisi della politica e delle istituzioni, e qualche politologo parla già apertamente di avvento della società post-partitica. In effetti, il degrado degli apparati partitici sprofondati nella corruzione si protrae ormai da oltre 30 anni, se già Enrico Berlinguer, nel lontano 1981, parlò di questione morale, e se l’avvento dei partiti personali, emersi con la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la nascita di Forza Italia, lungi dal risolverla, l’ha, anzi, per certi versi, aggravata. Non si può, dunque, negare che i partiti siano diventati dei veri e propri ascensori sociali per carrieristi disposti a tutto pur di farsi eleggeree ottenere prebende per sé e per i propri scherani. Questo sistema, però, è arrivato al capolinea, e deve essere spazzato via. Oggi pare che tutti i nodi siano venuti al pettine: la crisi partitica e quella economico-finanziaria sta facendo pagare, con un effetto perverso e combinato, il costo più salato ai ceti più deboli, ai precarizzati a vita e ai giovani senza più un futuro, ricevendone, in cambio, una forte delegittimazione popolare.
Ma se è vero che il sistema partitico è in gran parte screditato, della politica non si può fare a meno, in quanto sovrintende ancora ad una funzione generale che non può essere né eliminata né sostituita dall’anarchia. E sarà anche da vedere se la democrazia potrà sostenersi, in futuro, senza un consenso pluralistico organizzato in forme partitiche. Duegiorni fa in Europa è avvenuto un fatto epocale: è andato in onda il primo sciopero congiunto europeo, che ha visto scendere in piazza centinaia di migliaia di persone, lavoratori e studenti, giovani ed adulti, precari e garantiti, uniti in una protesta contro la politica di austerità e di rigore finanziario che sta affossando una delle aree più ricche ed evolute del pianeta. Gli economisti dicono che l’Eurozona è tecnicamente entrata in recessione, ciò vuol dire, che se non si invertirà la rotta, anche Francia e Germania non potranno evitarla. Intanto, la situazione sociale si fa di giorno in giorno più esplosiva, ed il 2013, lungi dall’essere un anno di ripresa come dice Mario Monti, si annuncia di piena crisi, con una disoccupazione data in aumento. Davanti ad un simile scenario, si ravvisa un grande bisogno di mediazione politica contro lo strapotere delle tecnocrazie finanziarie, che non possono essere considerate depositarie né della verità economica né, tantomeno, dell’interesse generale. E’ necessario, in primo luogo, che la politica ritorni ad occuparsi del mondo del lavoro, in particolare del lavoro dipendente e delle piccole e medie imprese – colonna vertebrale del nostro sistema economico – gravate da una pressione fiscale intollerabile, mentre assistiamo ad una evasione e ad una concentrazione di denaro in poche mani senza precedenti: un paese dove la ricchezza privata (stimata in circa 9000 miliardi di euro) è oltre quattro volte il debito pubblico e il 10% della popolazione ne possiede quasi la metà, non può pensare di mantenere a lungo la pace sociale.
Occorrerà ripensare, inoltre, ad una crescita sostenibile centrata sulla domanda di beni comuni: in un paese che cade a pezzi alla prima alluvione, il riassetto idrogeologico dei nostri territori può dare milioni di posti di lavoro per tanti anni; per non parlare delle nostre scuole e ospedali pericolosi e fatiscenti, di strade ed autostrade inadeguate, di un piano energetico nazionale che potrebbe da solo incentivare alcuni punti di PIL e riequilibrare il deficit. Ma, soprattutto, è’ necessario far ripartire i consumi incentivando la domanda interna in tutta l’Europa se si vuole salvare l’Euro e far crescere l’Unione politica. Il PD, in questo marasma, pur con tutti i suoi limiti, davanti alla crisi profonda del centro-destra, sembra essere l’ultimo grande partito in grado di reggere l’urto delle sfide imminenti. Grazie al suo radicamento territoriale, affronta quasi da solo il peso di primarie nazionali, con lo scopo di riavvicinare i cittadini alla politica. E forse è anche l’unico in grado di esprimere una qualche leadership esperta, post-ideologica e trasparente che può guidare il paese e tranquillizzare l’Europa. Ma non c’è dubbio che molto del suo successo dipenderà da quanto saprà legare il suo destino di governo a quello della gente in carne ed ossa e del mondo del lavoro.