Storie d’Italia: Ilva come Sir, perle del ‘Bel Paese’
Prima di trattare le discontinuità che questa Amministrazione deve far valere perché ‘si cambi davvero’ come proclama uno degli slogan della campagna elettorale di Stefano Lubrano, non posso fare a meno di commentare i fatti di Taranto in campo nazionale e il parto del PPR sardo di Cappellacci, perché ambedue sono strettamente collegati alla storia sarda attuale. I fatti dell’Ilva di Taranto sono noti, visto che sono in onda su tutta la stampa nazionale: il GIP Patrizia Todisco, dopo aver accertato le condizioni relative a disastro ambientale, ha disposto i sigilli allo stabilimento e misure cautelari varie per alcuni dirigenti; tutto quello che ne è seguito, ricorsi, riunioni del Riesame, proteste dei Lavoratori e dei Cittadini, sino alla decisione del Governo di sbloccare i fondi per l’introduzione di innovazioni tecnologiche (che non coprono gli investimenti delle imprese per obblighi di legge e prescrizioni che sono a carico delle stess: ed è su questo filone che si innesta la storia di Taranto terra violata e violentata, perché l’Ilva, prima di appartenere ai Riva, era stata inventata dall’IRI, per cui le manchevolezze di 80 anni di storia dell’Ilva, appartengono solo in parte ai Riva, ma per la misura maggiore vedono lo Stato, prima fascista e poi democratico, come datore di lavoro, creatore di ricchezza, ma anche come artefice principe di un processo che ora i giudici, riconoscono come disastro ambientale), ricalca le storie che solo giudici illuminati ed alla ricerca, forse di notorietà, ma comunque assetati di giustizia, riescono a portare all’attenzione di un Paese che spesso dimentica di essere ‘il bel’ per eccellenza. E la storia dell’Ilva ricalca esattamente ‘queste storie’, proprio come quella di Porto Torres, inseguita da Ottana, da Porto Vesme e via di seguito. La Sardegna è una eccellenza nelle eccellenze del ‘Bel Paese’: ha voluto inseguire il cammino della ‘madrepatria’ alla sequela di coloro che hanno voluto, in un rigurgito di nazionalismo, un’Italia potenza industriale tra le prime nel mondo. E oggi?
Ci si ritrova ad avere un conflitto disastroso tra il diritto al lavoro ed il diritto alla salute, compromessi ambedue da impegni disattesi, prima da imprese di stato e poi dai nuovi padroni ad esse subentrati. Proprio ieri, il Tribunale del riesame ha confermato il sequestro delle strutture finalizzato non alla chiusura ma alla messa a norma dei fattori inquinanti; vi è in questa vicenda, dalla soluzione del giudice Todisco alla successiva conferma del Tribunale del riesame, un giudizio inequivocabile, prima ancora del processo e delle sentenze che verranno emesse : che senso ha creare posti di lavoro, creare ricchezza se poi tutto ciò ti si rivolta contro, dal momento che quei posti di lavoro e quella ricchezza sono inquinati e inquinanti? detto in altri termini, si può fare industria, creare posti di lavoro, ma non a danno dell’ambiente e della terra sulla quale vivono le stesse imprese e gli uomini li impiegati; ancora in altri termini, non è accettabile che la differenza di capitali impiegati tra un’industria che rispetta le regole e imprese che rifiutano le regole, diventi parte integrante del guadagno di chi mette a disposizione il capitale sia esso lo Stato Imprenditore o il privato. Il GIP Todisco sta dicendo esattamente queste cose. A Porto Torres, la zona industriale, è solo un cimitero; nessun Magistrato si sognerà mai di espletare indagini contro il passato il cui ricordo, almeno per il nostro territorio, non certo per coloro che a suo tempo lucrarono delle piogge di denaro dispensate da una Regione improvvida, non appartiene ad un solo posto di lavoro. Anzi succede proprio il contrario : ENI e Novamont si inventano Matrica e i tre Sindaci del triangolo industriale di vecchia memoria, Ganau, Tedde e Scarpa, dimentichi che da Sindaci sono anche responsabili del territorio sul quale vivono le Persone loro affidate, invece di pretendere che lo Stato o chi per lui, investa il denaro occorrente per la bonifica integrale del territorio, del mare e del sottosuolo ricadente in quel bacino industriale, occupando maestranze locali, benedicono Matrica, ed affidano ad essa le speranze della Sardegna Nord-occidentale.
Con essi si allineano il Presidente della Regione Cappellacci ed i due Rettori delle Università sarde, quasi a voler confermare un imprimatur culturale, solo formale ed apparente visto che gli operatori culturali liberi si sono estraniati da un dibattito mai nato, che avrebbe preteso un coraggio enorme : è giusto affidare le speranze di Lavoro ad un progetto che ricalca un passato morto e sepolto, o è preferibile cancellare completamente quella che fu solo una illusione, e ritornare ad una cultura appartenente ancora al nostro DNA? Ed è qui che si innesta il PPR di Cappellacci con la storia di Taranto e di Porto Torres; non conosco il personaggio Soru, né sta a me giudicarlo. Oggi però, digerita la campagna elettorale di cinque anni fa, da destra a sinistra è necessario riconoscere al suo PPR ed alla sua filosofia politica una nota fondamentale : il tentativo cioè di reinventare un futuro a misura di passato; e questa non è una contraddizione in termini, ma la voglia di impostare una riflessione seria e serena, che vada al di là del proprio interesse particolare; il PPR di Cappellacci è proprio una opposizione in termini, programmatica, cadenzata, a quel vento di speranza che potrebbe nuovamente soffiare se sostenuto da chi ha ancora buona volontà e fiducia in un risveglio culturale dell’anima sarda. Ma di questo avremo modo di parlare più diffusamente.
Prima di concludere, mi preme annotare una prima discontinuità che questa nuova Amministrazione deve porre in risalto, ‘perché si cambi davvero’. I tre Consiglieri eletti nella Lista Lubrano, Bernardi, Serra e Melis, provocati ad arte sulla possibilità che il Comune rientri nella gestione di Sogeaal, si sono detti pronti, nell’interesse della stessa Azienda e delle sorti del tessuto economico della Sardegna NordOccidentale, a caldeggiare ragionamenti finalizzati ad un tale scenario. A PierBruno, come a Melis e Serra, chiedo se non sia il caso, prima di valutare l’investimento di denaro pubblico algherese in Sogeaal, ripensare alla stessa struttura societaria, o ancora meglio, al suo peso sugli stessi bilanci. Parliamo spesso di costi della politica riferendoci a chi fa Politica in modo diretto, ed è giusto pretendere morigeratezza. Dimentichiamo spesso che i costi della Politica sono tanti altri, ed è compito di chi la esercita direttamente, applicarsi perché vengano tagliati di netto: in una azienda come Sogeaal che senso hanno un Presidente ed un Consiglio di Amministrazione, fruitori di lauti gettoni, quando per governare la stessa azienda esiste, e fa il suo lavoro egregiamente, un Direttore Generale? E se la struttura Societaria non può fare a meno di un Consiglio di Amministrazione, non sarebbe il caso che questi Signori prestino la loro opera gratuitamente?