IRS: ” Loro sono grandi solo perchè Noi ci inginocchiamo”
E’ doloroso, tuttavia è necessario dover ammettere che oggi la Sardegna è una terra di depressione, un’isola che galleggia sul mare in balia delle maree, in attesa che qualcuno si accorga di lei e la porti in salvo. Una terra abitata da un popolo che sta vivendo sui cumuli delle macerie ideologiche e sociali frutto di un sistema politico che ha sempre messo davanti al bene comune l’interesse di pochi privilegiati.
Le conseguenze drammatiche di questa situazione sono mostrate da un’indagine Istat, dove emerge che in Sardegna attualmente 145 mila persone vivono in condizioni di povertà e ad altre 171 mila potrebbe toccare la stessa sorte, se una piccola spesa imprevista capitasse loro. Secondo le fonti Istat, i sardi disoccupati sono 109 mila, di cui il 58% uomini e il 42% donne. Tra gli uomini il 62% ha perso un’occupazione, mentre il 13% si presenta per la prima volta sul mercato del lavoro e non ha precedenti esperienze; il 25% decide di riprendere la ricerca di un impiego dopo un’iniziale momento di stallo e delusione. Tra le 45.780 donne che non lavorano invece, solo il 43% risulta disoccupata, mentre il 33% decide di tornare alla ricerca di un’occupazione dopo qualche tempo; infine il 24% di loro non ha mai avuto un’occupazione regolare.
Il quadro complessivo delle imprese in attività presenta un dato altrettanto sconfortante: le aziende indebitate con il fisco italiano sono 70.000, per un “buco” complessivo di 4 miliardi di euro. Nel mondo dei giovani la situazione non è certamente migliore, soprattutto per quanto concerne l’istruzione e la formazione: 30 mila sardi tra i 18 ed i 24 anni hanno abbandonato gli studi prima del conseguimento del diploma e si trovano nella condizione di non aver un titolo di studio che certifichi le conoscenze e competenze necessarie per poter anche solo partecipare a qualsiasi bando di concorso o colloquio di lavoro.
L’elenco dei dati statistici mostra nella sua oggettiva freddezza il presente di una terra che lentamente involve verso la povertà e la miseria, ma dietro i numeri e le percentuali si nascondono le drammatiche vicende di chi subisce sulla propria pelle ciò che quei numeri comportano e significano ogni giorno. Tra il 9 ed il 10 aprile 2013, un imprenditore di 53 anni di Macomer, un piccolo impresario edile di 47 anni di Orotelli, ed un operaio edile di 47 anni di Serramanna si sono tolti la vita. Tre padri di famiglia non hanno trovato la forza di continuare a lottare, oppressi dalla disperazione di non poter affrontare oltremodo la crisi che li ha investiti come una valanga inarrestabile. La situazione è tragica più che mai, perché alle preoccupazioni di tipo economico si aggiunge il cupo e sordo dolore di chi resta, ma soprattutto di chi non ce la fa più e preferisce porre fine ad un’esistenza che non si ritiene possa essere vissuta senza quella dignità che il lavoro e la consapevolezza di essere utili alla comunità possono dare.
Già nel 2011 le donne di iRS che fecero il digiuno ad oltranza sotto il palazzo della Regione, proponevano che la Giunta e il Consiglio Regionale della Sardegna chiedessero l’applicazione dell’art. 51 dello Statuto Sardo che recita: “Il Consiglio regionale può presentare alle Camere voti e proposte di legge su materie che interessano la Regione. La Giunta regionale, quando constati che l’applicazione di una legge o di un provvedimento dello Stato in materia economica o finanziaria risulti manifestamente dannosa all’Isola, può chiederne la sospensione al Governo della Repubblica, il quale, constatata la necessità e l’urgenza, può provvedervi, ove occorra, a norma dell’ art. 77 della Costituzione”.
Il Consiglio Regionale all’unanimità ha chiesto l’applicazione di quest’ articolo, ma alla fine il decisore finale continua ad essere lo Stato Italiano, che nonostante certifichi – tramite il Sose – che la Sardegna è in sottosviluppo, non riconosce le leggi del nostro Statuto di Autonomia. Intanto, nessuno fra i deputati e i senatori sardi ha preso una ferma posizione in merito a questi drammi che investono l’isola. Le persone si tolgono la vita ed è ormai fin troppo facile capire che gesti così estremi sono la diretta conseguenza di situazione drammatica in cui noi tutti versiamo da ben prima della tanto conclamata crisi economica.
Nel frattempo niente è stato più fatto dalla classe politica presente nelle istituzioni regionali per riprendere con vigore la questione della Vertenza Entrate. Dal 1991 lo Stato Italiano continua a non restituire ai sardi i 7/10 delle tasse, come dice la legge. Ad oggi si ritiene che la cifra del debito di ciò che lo stato ci deve sia ben superiore ai 10 miliardi di euro. Non si tratta soltanto di pretendere la restituzione per una pur importante e necessaria questione economica; oramai è in gioco la dignità di un intero popolo che sembra assistere impotente al continuo dileggio di uno statuto dell’autonomia che manifesta tutta la sua debolezza.
D’altra parte è ancora più deprimente osservare l’inerzia e l’apatia di una giunta regionale come quella attuale, il cui Presidente pare vivere completamente avulso dal drammatico contesto che lo circonda, incapace di leggere la miseria del presente e privo di ogni pur elementare embrione di visone politica che faccia vedere una speranza per l’immediato futuro. Per altro, pare non essere l’unico politico ad essere affetto da questa “sindrome dell’arroccamento”, tipica dei sovrani che fuggono dalle miserie del proprio popolo. Oramai la miopia è diffusa e trasversale e dimostra ampiamente la totale incapacità di governare da parte di un sistema politico ormai fallito, perché ancora calato a vecchi sistemi centro-periferici in cui la Sardegna continua ad avere un ruolo subalterno e marginale.
Per concludere, riportiamo un breve passaggio di Etienne De la Boétie, raffinato filosofo francese vissuto nel Cinquecento e che ci sembra particolarmente calzante per leggere la nostra condizione di popolo che paga ancora oggi le conseguenze di un asservimento reiterato nei secoli.
“E’ difficile immaginare come il popolo, da quando è asservito, cade improvvisamente in uno stato di tale profonda dimenticanza della libertà, che non gli è possibile risvegliarsi per riprendersela, e serve tanto volentieri, che a vederlo non sembrerebbe che ha perso la libertà, ma che ha guadagnato la servitù. E’ ben vero che all’inizio si diventa servi perché costretti o sconfitti dalla forza: ma quelli che vengono dopo servono senza rimpianto, e fanno volentieri ciò che i loro predecessori avevano fatto per costrizione. In tal modo gli uomini nati sotto il giogo, cresciuti e allevati come servi, non pensano più al passato, ma si accontentano di vivere nella medesima condizione in cui sono nati.”