La Bolivia vara una legge contro il femminicidio. In Italia tutto è fermo…
Evo Morales, presidente della Bolivia, ha firmato ieri una legge che punisce il femminicidio. Si tratta di una norma di 100 articoli che punisce con 30 anni di carcere (senza il diritto alla grazia) gli autori di violenze contro le donne: si tratta della pena più severa del codice boliviano. Morales ha varato la legge “per garantire alle donne una vita libera da violenze” in un paese dove dal 2009 403 donne sono state uccise, 21 delle quali nel 2013. La discussione su una legge contro il femminicidio era scaturita da molto tempo, ma l’iter è stato accelerato all’indomani dell’accoltellamento – il 12 febbraio – di Hanali Huaycho da parte del marito, il tenente di polizia Jorge Clavijo. Il caso sconvolse tutta la Bolivia, dove si stima che il 70% delle donne abbiano subito violenze nella loro vita. La legge sul femminicidio varata dal governo di Morales individua i vari tipi di violenza, tra cui quella fisica, psicologica, sessuale, “riproduttiva”, economica e mediatica. Inoltre crea tribunali e pubblici ministeri speciali oltre a una task force della polizia dedicata alle violenze sulle donne.
Sottolineiamo che in Italia una specifica legge contro il femminicidio non è stata mai varata, nonostante la cronaca ci informi quotidianamente di omicidi in tutto il Paese: secondo le statistiche, nel 2012 furono quasi uno ogni due giorni. Lo scorso novembre fu Giulia Buongiorno, deputata finiana, a depositare una proposta di legge che incontrò subito l’adesione della collega del Pdl Carfagna. La proposta giace in un cassetto e si propone innanzitutto di introdurre una specifica aggravante nell’articolo 576 del Codice penale (cioè le aggravanti previste per l’omicidio), per punire con il carcere a vita chiunque uccida “in reazione a un’offesa all’onore proprio o della famiglia di appartenenza o a causa della supposta violazione, da parte della vittima, di norme o costumi culturali, religiosi o sociali ovvero di tradizioni proprie della comunità d’origine”. Riuscirà, il prossimo governo, ad approvarla?
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