La fine della “Costa Concordia”
L'opinione di Vittorio Guillot
Qualche giorno fa il relitto della ‘Costa Concordia’ ha effettuato il suo ultimo viaggio verso un cantiere in cui verrà completamente smantellato . La famosa nave , così, non esisterà più ed il suo acciaio lo ritroveremo, magari, nelle lamette da barba o in qualche ottima pentola. A questo punto mi vien da fare qualche considerazione su quel drammatico naufragio. E’ noto che il comandante Schettino è stato condannato a 16 anni di reclusione per il suo comportamento in occasione di quella tragedia. Quella sentenza è stata considerata da molti fin troppo mite, dato che il naufragio è costato la vita a 32 esseri umani. Secondo pochi altri, invece, è stata troppo dura ed ingiusta perché Schettino avrebbe fatto fino in fondo il suo dovere ed avrebbe agito con adeguata perizia marinaresca. Non voglio entrare nel merito di una vicenda che non conosco in tutti i suoi aspetti e risvolti ma solo per ciò che ho letto e sentito su giornali e TV. Voglio solo dire qualcosa di carattere generale.
Tanto per iniziare, a costo di apparire impopolare, sostengo di non essere contrario, in linea di principio, agli ‘inchini’ ossia al fatto che le navi e, specificatamente, le grandi navi da crociera, si avvicinino alla costa per farsi ammirare. Questa è un manovra che si è sempre fatta in tutto il mondo senza particolari difficoltà e che venne ripetutamente effettuata anche dal mitico transatlantico REX, vincitore del Nastro Azzurro. E’ ovvio che questa manovra, come, del resto tutte le altre, debba essere fatta ‘in sicurezza’ e, quindi, tenendo conto delle condizioni meteorologiche, della morfologia della costa e dei fondali marini, delle caratteristiche costruttive e manovriere dell’unità nonché della strumentazione di cui essa è dotata. Poiché ogni nave deve essere fornita degli strumenti adeguati e delle carte e documenti nautici concernenti i tratti di mare in cui si naviga, ogni comandante deve poter stabilire che rotta seguire e che manovre effettuare, comprendendo tra queste il famoso ‘inchino’.
E’ ovvio che qualsiasi comandante dovrebbe anche sapere che la sua nave non è fatta per passare su scogli e secche. Personalmente non vedo neppure la necessità del Decreto Ministeriale che vieta l’inchino e la cui emissione, a mio parere, è stata richiesta sull’onda dell’emozione suscitata dal naufragio del ‘Concordia’ e per dare un contentino alla opinione pubblica. A costo di sembrare provocatorio e scandaloso, aggiungo che, se ricoprissi il ruolo di ‘Autorità Marittima’, ricorrerei ai poteri previsti dall’art. 1231 del Codice della Navigazione e vieterei ‘ l’inchino ’ o, meglio, il transito delle navi in certi tratti di mare, solo se ciò arrecasse pericolo ad altre attività, come, ad esempio, la balneazione, la pesca, l’ancoraggio e la navigazione di altre navi , o lavori di vario genere e via discorrendo. Quanto a Schettino, se avessi svolto l’inchiesta amministrativa o penale, ma anche se fossi intervenuto nel processo come perito di parte o del tribunale, oltre ad ogni accertamento e valutazione concernente la sua responsabilità nell’incaglio, avrei cercato di capire se il fatto di essersi allontanato dalla nave abbia compromesso o meno l’organizzazione e l’effettuazione delle operazioni di salvataggio.
Per quanto possa sembrare paradossale, infatti, la ubicazione del comandante in una posizione più sicura potrebbe ( e dico potrebbe, quindi non esprimo una certezza ma mantengo tutti i dubbi possibili ed immaginabili) avergli addirittura consentito, se fosse stato fornito dei necessari apparecchi di comunicazione, di dirigere quelle operazioni in modo tecnicamente migliore che stando a bordo e in una situazione molto precaria. Sia chiaro che con queste affermazioni non è mia intenzione assolvere Schettino e, anzi, condivido in pieno il modo in cui gli fu intimato di raggiungere il suo posto di comando e gli furono prospettate le sue responsabilità. Voglio semplicemente dire che, in caso di inchiesta, avrei fatto la parte ‘dell’avvocato del diavolo’ e, cioè, che avrei cercato di tener lontani i pregiudizi di ogni tipo e di mettere in luce tutti gli aspetti della vicenda, anche quelli meno visibili dalla pubblica opinione e dai mass media.
Un altro aspetto su cui avrei indagato è il comportamento della società armatrice in merito alla richiesta di soccorso ed all’abbandono della nave. Infatti ritengo necessario allontanare il sospetto che l’armatore, per questioni, ad esempio, di vil denaro o di semplice immagine, abbia fatto indebite pressioni sul comandante perché non chiedesse il soccorso, o lo chiedesse tardivamente, per cercare di risolvere nascostamente il problema ma compromettendo la vita di tante persone. Ripeto, non conosco gli atti delle inchieste e del processo se non per quanto è stato riportato dalla stampa. Quindi con ciò che ho scritto non ho voluto minimamente sindacare sull’operato degli inquirenti. Semplicemente ho voluto fornire agli interessati qualche elemento di riflessione in più su una vicenda di pubblico dominio.