La Grande Prosa: Ascanio Celestini in tournée nell’Isola tra Alghero, Carbonia e Nuoro
L'artista porterà in scena due capitoli della sua ideale "trilogia"
Storie di (stra)ordinaria follia e vite ai margini con Ascanio Celestini, in tournée nell’Isola sotto le insegne del CeDAC per la Stagione 2018-2019 de La Grande Prosa: l’istrionico attore, autore e regista sarà protagonista giovedì 28 e venerdì 29 marzo alle 21 al Teatro Civico di Alghero per un duplice appuntamento con “Pueblo”, in cartellone anche sabato 30 marzo alle 20.45 al Teatro Centrale di Carbonia, mentre domenica 31 marzo alle 20.30 al Teatro San Giuseppe/ BocheTeatro di Nuoro l’artista romano proporrà “Laika” (in collaborazione con BocheTeatro) – nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna. Una moderna epopea dei vinti narrata in chiave onirica dallo straordinario affabulatore capace di evocare mondi lontani e fantastici e trasfigurare in poesia il degrado delle periferie metropolitane: l’ideale trilogia iniziata con “Laika” (2015) e proseguita con “Pueblo” (2017) affronta temi delicati e scottanti come le moderne migrazioni e lo sfruttamento dei clandestini, per scoprire la bellezza nascosta nella routine del quotidiano e perfino nella lotta per la sopravvivenza degli ultimi tra gli ultimi, tra slanci di incomprensibile generosità e preziosi e rari gesti di solidarietà. Focus sulla folla degli “invisibili” che abitano nelle nostre città – dai clochards ai sans-papiers, ma anche i bambini educati alla dura scuola della vita di strada, cresciuti in famiglie disastrate o in istituti a dir poco inadeguati e sugli “zingari” tra pregiudizi e fascino di un’esistenza libera e fuori dalle regole – in una narrazione corale fatta di tante storie che si intrecciano, tra allegria e malinconia, innocenza e crudeltà.
Ascanio Celestini – sulla colonna sonora eseguita dal vivo da Gianluca Casadei – raffigura un variopinto microcosmo “sommerso” e quasi irraggiungibile, perfettamente nascosto sotto la superficie della rasserenante anche se forse un po’ banale – e spesso illusoria – “normalità”, un universo parallelo dove un padre insegna alla figlia a rubare e un altro padre, scomparso o perduto, riaffiora dai sogni, mentre una madre sembra smarrirsi e svanire in una sorta di lontananza oltre il muro delle illusioni. Amare verità messe a nudo con l’ingenua semplicità dei cuccioli della specie e dei puri di cuore, ignari del male, testimoni e vittime della perfidia e della sopraffazione, eppure ancora capaci di indignarsi per un’ingiustizia e di provare empatia verso i propri simili. L’artista romano restituisce la voce a chi non sa o non può (più) parlare né tanto meno gridare la propria rabbia o la propria delusione, il proprio sconcerto o il proprio dolore, seguendo il filo dei pensieri per offrire l’immagine commovente di un’umanità fragile con tutti i suoi difetti, le sue intemperanze e debolezze, gli errori e gli incidenti di percorso, ma capace di resistere alle peggiori intemperie – reali e metaforiche – con un’irresistibile, perfino contagiosa voglia di vivere.
Cantore dei timidi e dei disperati, dei matti e (perfino) degli assassini l’attore e drammaturgo riesce con la sua cifra personalissima, dove il confine tra fantasia e realtà si fa labile e sottile, a narrare di terribili atrocità, abusi e delitti con la “naturalezza” di chi riferisce fatti di cronaca, senza giudizio né condanna – con sensibilità d’artista e animo da poeta. Così paradossalmente – ma non troppo – il compito di riconoscere e farsi carico dell’orrore ricade sugli spettatori, davanti a cui, sapientemente evocati dalle parole, si svolgono fatti indicibili (veri seppure reinventati) e azioni efferate, riassunti in vicende singolari ed emblematiche che sfociano spesso in tragedia. Ascanio Celestini riscopre e fa sua la potenza del mito e della narrazione popolare – quel patrimonio immateriale e magmatico su cui si fonda la memoria collettiva, e dunque l’identità e il senso di appartenenza alla comunità, per proiettarla nella dimensione contemporanea della civiltà dell’immagine e dell’esaltazione dell’individualismo, tra il miraggio del successo e del potere e l’indifferenza quando non l’insofferenza verso la sofferenza altrui – tra economia postindustriale e alienazione metropolitana.
Fin nel titolo “Pueblo” (con voce fuori campo di Ettore Celestini, suono di Andrea Pesce e disegno luci di Danilo Facco) rimanda alla cultura e ai riti dei nativi americani – in stretto contatto con la natura – a contrasto con gli scenari urbani dominati da cemento e asfalto, ma in realtà non meno pericolosi di una giungla, in cui riaffiorano istinti e impulsi primordiali. E mentre il ritmo ipnotico della pioggia si confonde con l’eco di un “suono planetario”, come in un film si dipanano le storie minime degli stravaganti eroi – una cassiera e una “barbona”, una piccola ladra e uno zingaro (forse) innamorato, un facchino africano e una poliziotta gentile, e poi negozianti e suore, operai e guardiani, l’animazione del mercato e la tentazione del gioco d’azzardo, l’attività incessante di un magazzino e lo spazio vuoto di un parcheggio deserto. «Di questi personaggi mi interessa l’umanità» racconta Ascanio Celestini: «Voglio raccontare come sono prima della violenza che li trasforma in oggetto di attenzione da parte della stampa, ma voglio raccontare anche il mondo magico che hanno nella testa. Il mondo che li rende belli e che, solo quello, può aiutarli a non farli scomparire».
Il “viaggio” – in un percorso a ritroso – inizia da “Laika” – in scena domenica 31 marzo a Nuoro, e il riferimento alla famosa cagnetta pioniera suo malgrado della “conquista dello spazio” è tutt’altro che casuale – tra “poveri cristi” e meravigliose visioni, come l’inaspettato manifestarsi della solidarietà. Una narrazione curiosa e avvincente – fra tranches de vie e strambe fantasticherie – impreziosita dalla voce fuori campo di Alba Rohrwacher – dove la muta disperazione di chi è imprigionato in un’esistenza senza senso e senza futuro e la triste condizione dei clandestini – giunti da lontano con una valigia carica di sogni ma costretti a nascondersi nell’illegalità – fanno pendant con l’ansia di riscatto che passa attraverso la cultura. E ai miracoli: «Ha visto signora? Noi abbiamo assistito a un prodigio. Tre persone nel cuore della notte sono scese in strada per salvare la vita a un barbone». Basta poco a volte per riaccendere la speranza – e la fiducia nell’umanità. «Ed è proprio il barbone che in questa storia dorme nel parcheggio di un supermercato a cucire insieme tutte le storie. L’ultimo tra gli ultimi. L’unico che nemmeno parla. Ma anche quello che, sopravvissuto alla traversata del deserto e del mare è finito in quel mondo sotterraneo del lavoro che produce per tutti, ma che non è visibile a nessuno si legge nelle note. «Infatti “Laika” è soprattutto questo: un piazzale nel quale si incontrano la fatica e l’umiliazione del lavoro, la rabbia e la solidarietà di chi non ha nulla da perdere e per questo riesce ad alzare la testa».
«Della terza parte so ancora poco, ma ci troveremo nella stessa periferia del mondo e dell’attenzione» – promette Ascanio Celestini.