L’aereo

Un racconto di Vittorio Guillot

Una mamma, in un lontano mese di maggio, decise di condurre il suo figlioletto dai nonni, che vivevano in un lontano paese oltremare. Per raggiungere i parenti fu scelto l’aereo. Il bambino era entusiasta per quella nuova esperienza che lo elettrizzava oltre ogni dire. Mostrava la sua impazienza facendo mille domande, incuriosito dalle novità che gli capitavano attorno e la mamma faceva una gran fatica per trattenere quel marmocchio tanto gioioso e vivace. A bordo dell’aereo la sua curiosità divenne ancora più forte. Non gli sembrava, infatti, di aver avuto tante attenzioni né di essere stato accolto da nessuna parte da sorridenti ragazze che gli davano il benvenuto, non aveva mai assistito alle strane esibizioni della hostess che illustrava cosa fare in caso di emergenza né aveva mai sentito la voce del comandante parlare del viaggio e delle condizioni del tempo. Tutto lo incuriosiva. Lo incuriosì, in particolare la scritta luminosa che apparve su un piccolo schermo posto davanti a lui. Poiché non sapeva ancora leggere, chiese alla mamma cosa fosse indicato in quel messaggio. La donna lo lesse ad alta voce : “In caso di difficoltà, prima di aiutare il vostro vicino a indossare la mascherina per l’ossigeno, indossate la vostra, che penderà sopra di voi – Ma questa è una stupidaggine – commentò la donna facendo spallucce – Ti pare che la tua mamma, se ci fosse un pericolo , potrebbe pensare prima a se stessa che al suo figlioletto? – Dopo poco l’aereo si librò nel cielo e la gioia del bimbo volò ancora più in alto perché vedeva da lassù le case, le città, le montagne ed il mare diventare sempre più piccoli e sparire dietro una coltre di nuvole che, gli sembrava, avrebbe potuto persino toccare se qualcuno avesse solo aperto quel fastidioso oblò. Era emozionato e felice, il bambino, per quella magica esperienza, ma ad un tratto il cielo attorno all’aereo si oscurò, il sole scomparve ed il buio fu squarciato dai sinistri bagliori dei fulmini. ‘la voce dell’hostess avvisò: – Siamo entrati in una perturbazione meteorologica. I signori passeggeri sono invitati a restare seduti ai propri posti , a porre lo schienale dritto ed a tenere le cinture le cinture allacciate!’ – La preoccupazione era palpabile sui volti di tutti e , forse, il bambino si preoccupava meno degli altri , almeno finoche l’aereo cominciò a subire degli scossoni sempre più forti e dei sobbalzi che sembrava non finissero mai. Quella preoccupazione, poi , divenne terrore quando un fulmine colpì l’aereo, che scese velocemente di quota mentre le luci di bordo si spegnevano. Le urla dei passeggeri terrorizzati furono veramente orribili e la mamma ed il bambino cercarono disperatamente di abbracciarsi . Sul piccolo schermo comparve, allora, la famosa scritta : “In caso di difficoltà, prima di aiutare il vostro vicino a indossare la mascherina per l’ossigeno, indossate la vostra, che penderà sopra di voi ”Nel frattempo quelle mascherine , collegate da un tubicino, cominciarono a calare verso i passeggeri. La mamma, però, per la sua generosità, non volle indossare la sua ma cercò di afferrare quella del suo piccolo per porgergliela. L’impresa fu resa molto difficile dal buio, dallo sballottio dell’aereo, dall’agitazione del ragazzino che urlava, piangeva e si dimenava, dal tremore della mani materne. La donna, ad un certo punto, si sentì soffocare: La gola le ardeva per la mancanza di aria e lei spalancava freneticamente la bocca cercando inutilmente di respirare. Dopo poco si accasciò svenuta, con il viso stravolto e gli occhi sbarrati. Dopo un tempo che parve infinito, l’emergenza cessò, l’aereo risalì di quota , le luci si riaccesero ed i passeggeri, poco alla volta ripresero coraggio, si tranquillizzarono, qualcuno volle bere un sorso d’acqua ed altri cominciarono a parlare tra loro dell’accaduto. Solo la mamma ed i piccolo tacevano. Giacevano abbracciati , con la bocca disperatamente spalancata e gli occhi sbarrati. Erano morti , morti soffocati . Le inutili mascherine pendevano dal soffitto mentre sul piccolo schermo appariva ancora, quasi beffarda, la scritta “In caso di difficoltà, prima di aiutare il vostro vicino a indossare la mascherina per l’ossigeno, indossate la vostra, che penderà sopra di voi”.

Ecco, questo racconto, fortunatamente fantasioso, ma non troppo, mi serve per commentare le parole del vescovo Atzeni, di Sassari, che ha sostenuto, a proposito dei migranti, che la carità incomincia da se stessi e dal prossimo più vicino. Infatti, per aiutare gli altri occorre poter stare in piedi , in forma, come suol dirsi. Viceversa, se cioè, si cercasse di aiutare immediatamente i più lontani perdendo di vista se stessi ed i più vicini, si correrebbe il rischio, terribile, di diventare noi stessi un problema, di perdere noi stessi e chi ci sta più vicino e, conseguentemente, di non poter essere di aiuto a nessuno, proprio a nessuno. E ciò non sarebbe né giusto né utile. La carità, comunque, ‘inizia’ da noi stessi e dal prossimo più vicino , ma non ‘finisce’ , non si ‘chiude’, non si ‘esaurisce’ con noi stessi e con il prossimo più vicino. Piuttosto dobbiamo curare e mantenere le nostre energie, culturali, spirituali e materiali, per poter essere di sostegno anche ad altri, più lontani, perché pure loro possano contribuire alla costruzione,su questa Terra, della Casa Comune, in cui ognuno possa avere un decoroso appartamento in cui vivere nella sua intimità, secondo i suoi gusti ed abitudini ed in armonia con gli altri inquilini. Probabilmente se l’Europa applicasse queste idee, darebbe un buon contributo alla realizzazione di un Mondo più giusto.

Vittorio Guillot, 20 Giugno 2016