Maometto e Dante, altro che Charlie Hebdo
Dopo i fatti di Parigi, il dibattito sul rispetto della religione, e dei religiosi, è aperto. Alcuni accusano i disegnatori di Charlie Hebdo di "essersela cercata". Ma, in confronto a Dante, erano delle maestrine di catechismo.
L’altra sera, rileggendo la Divina Commedia, mi sono imbattuto nuovamente in alcuni canti dell’Inferno dantesco. Uno in particolare, il ventottesimo, ha catturato la mia attenzione alla luce dei recenti fatti di Parigi che ormai tutti conosciamo.
Il canto in questione è ambientato nell’ottavo cerchio, precisamente nella nona bolgia – a pochi passi da Lucifero – dove sono condannati a soffrire per l’eternità coloro che in vita furono «seminatori di scandalo e di scisma» o, se preferite, di discordia.
Dopo una breve introduzione in cui Dante spiega a suo modo – in ventuno versi – come nel luogo in cui si trovasse scorresse più sangue che in un centro trasfusionale dell’Avis, ecco pararsi di fronte a noi il primo personaggio del canto. Il Poeta ce lo descrive così:
Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com’io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.
Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e ’l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.
In parafrasi libera:
Una botte che perde dalle doghe di mezzo o da quelle del fondo, non appare così sfondata come quel dannato che vidi io, aperto e spaccato dal mento fino a dove si scorreggia (ano).
Tra le gambe gli pendevano le budella e gli si vedeva la corata (cuore, polmoni e milza) e anche il triste sacco che trasforma in merda quello che si mangia (stomaco).
In pratica, il malcapitato viene descritto dall’autore italiano più studiato al mondo come un maiale dal quale stanno per essere asportati gli organi o, se preferite, come una ranocchia vivisezionata. Da notare la splendida perifrasi con la quale viene indicato lo stomaco: «tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia». Una scena splatter da B-movie, che più che orrore suscita ironia e scherno. Ma chi è ‘sto poveraccio?
Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
guardommi, e con le man s’aperse il petto,
dicendo: «Or vedi com’io mi dilacco!
vedi come storpiato è Maometto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
In parafrasi:
Mentre lo fissavo, lui mi guardò e, aprendosi il petto con le mani, mi disse: «Guarda adesso come mi spacco!
Guarda com’è combinato Maometto, tutto storpiato! Davanti a me se ne va in lacrime il mio genero Alì, con il volto squarciato (fesso) dal mento alla fronte.
Eh sì, proprio lui. Tralasciando il fatto che parla di sé alla terza persona come Alberto Tomba o il Divino Otelma, Maometto non dà l’idea di stare molto bene. È accompagnato dal marito di sua figlia, Alì (nome completo: Ali ibn Abi Talib, come per un calciatore brasiliano) che, alcuni anni dopo la morte del Profeta (632 d.c.), divenne il quarto califfo dell’Islam (656 d.c.). Alì ha la testa spaccata: in simbiosi con la ferita inferta a Maometto.
Nella prosecuzione del canto, sempre Maometto spiegherà la pena alla quale lui e suo genero sono sottoposti: il loro corpo è diviso da diavoli armati di spada che reiterano le loro mutilazioni ogni volta che si rimarginano, ad ogni giro della bolgia. Altro che decapitazioni del’Is. Il contrappasso è evidente: coloro che in vita divisero i popoli, all’inferno vengono divisi – letteralmente – senza sosta. Tout est pardonnè, mica tanto. Charlie Hebdo, al confronto, sembra S.O.S. Tata.
Ora, è evidente che Dante, in quanto uomo cristiano medioevale, non potesse avere una buona considerazione dell’Islamismo. Questo non gli impedì comunque di ammirare intellettuali arabi come Avicenna e Averroè, da lui inclusi tra gli «spiriti magni» del Limbo in quanto autori di opere filosofiche importantissime. Nel periodo in cui scrive, tuttavia, ammazzarsi in nome di un essere invisibile non era visto come un atto idiota e privo di senso – vedi Crociate et similia – anzi. Certo, la Commedia è incentrata e permeata di morale e dottrina cristiana, ma il fatto che Dante si permetta di posizionare all’inferno, per motivi diversi, anche due papi: Celestino V – girone degli ignavi – e Bonifacio VIII/Niccolò III – simoniaci – è comunque significativo.
Chissà cosa ne pensano i fondamentalisti dell’Is o di Al Qaeda. O i musulmani e i cristiani moderati, quelli che dicono: «Ad azione corrisponde reazione» e che la «libertà di parola va misurata». Dante, per sua fortuna, morì a Ravenna il 14 settembre 1321: di ritorno da Venezia, passando per le paludose valli di Comacchio, contrasse la malaria. Sempre meglio che essere trivellato dai colpi di kalashnikov di un terrorista. O dalla censura dei moderati.
A cura di Ignazio Caruso. Laureato in Lettere, blogger sul web, giovane sulla carta. A parte tutto, un bravo ragazzo. Scrivo su algheroeco.com, blogamari.com e ilcarusoblog.com.