“Nascere nella parte ‘giusta’ del mondo non è un merito, è fortuna”
L'opinione di Manuel Carta, Presidente Associazione Esculapiani

In questo momento storico, segnato da crescenti tensioni geopolitiche e da una narrazione mediatica sempre più polarizzata, rischiamo di perdere di vista le crisi umanitarie che si consumano silenziosamente nei luoghi più remoti del mondo. Laddove l’informazione fatica ad arrivare — o giunge distorta, frammentaria o del tutto assente — milioni di persone continuano a lottare ogni giorno contro la fame, la sete e le malattie, senza che la comunità globale se ne accorga davvero. A partire da marzo 2025, l’amministrazione Trump ha ufficialmente sospeso una parte significativa dei finanziamenti destinati alle organizzazioni umanitarie internazionali. I tagli hanno colpito duramente agenzie fondamentali come il World Food Programme, la FAO e Save the Children. Solo nel 2024, gli Stati Uniti avevano contribuito con circa 7 miliardi di dollari ai programmi di assistenza alimentare e sviluppo sostenibile. Questi fondi, ora ritirati, rappresentavano fino al 40% del bilancio operativo per alcune di queste agenzie.
Secondo un comunicato ufficiale di Save the Children pubblicato nel marzo 2025, oltre 320 programmi sono stati ridimensionati o chiusi, privando milioni di bambini dell’accesso a servizi essenziali come nutrizione, assistenza sanitaria, istruzione e protezione. Il World Food Programme ha annunciato di essere stato costretto a dimezzare le razioni alimentari in diverse regioni dell’Africa subsahariana e del Medio Oriente, lasciando oltre 8 milioni di persone a rischio immediato di malnutrizione acuta.
Quanto vale la vita di un bambino? E quella di milioni di bambini? Noi, che viviamo in contesti privilegiati, dimentichiamo spesso che la nostra stabilità è in gran parte frutto del caso. Nascere nella parte “giusta” del mondo non è un merito, è fortuna. Ma chi nasce altrove non vale meno. Le vittime di queste scelte politiche non sono “indirette” — sono volutamente ignorate. È arrivato il momento per l’Europa e i suoi alleati di assumere un ruolo guida. Serve una risposta coordinata e lungimirante: finanziamenti strutturali, progetti per la costruzione di pozzi, distribuzione capillare di medicinali, programmi di autosufficienza agricola. Occorre una nuova strategia di cooperazione internazionale, che guardi oltre i riflettori delle crisi visibili e agisca dove nessuno guarda. Abbiamo un dovere morale — e strategico — di agire. Perché un giorno, in un mondo sempre più instabile, potremmo essere noi ad avere bisogno d’aiuto. E allora ci chiederemo: gli altri ci volteranno le spalle con la stessa indifferenza con cui oggi ignoriamo chi soffre in silenzio.