Partiti e Società Civile
Sono d’accordo con chi sostiene che non si può solo protestare contro il “sistema” senza avanzare delle proposte alternative. Infatti il “vuoto di potere” sarebbe ancora più dannoso di un sistema inefficiente. Non c’è da stupirsi, però, se molto spesso ci si chieda a cosa servano i partiti e se rappresentino veramente la volontà e gli interessi popolari. Tra l’altro le stesse elezioni “primarie”, per il modo in cui sono svolte oggi, sono una ipocrita farsa. In fatti sono sempre i soliti capoccetti dei gruppuscoli interni ai partiti che, nella lotta per il potere, selezionano, secondo i loro interessi, le persone da presentare e le propongono al pubblico. In ogni modo non è mai il popolo, che, anche secondo la Costituzione, dovrebbe essere Sovrano, a selezionare direttamente i candidati. Al popolo spetta, al massimo, la facoltà di rafforzare un personaggio o una combriccola piuttosto che un’altra. In altri termini le primarie si riducono a rese dei conti e a faide interne che non si placano dopo le elezioni dei vari consigli e parlamenti, ma rendono difficile e litigiosa la vita di maggioranze ed esecutivi. Le “primarie” sarebbero una cosa ottima se nelle sedi in cui si legifera e si governa fossero rappresentate le categorie sociali in cui si articola il mondo del lavoro e della produzione. Di conseguenza, la stessa selezione dei candidati dovrebbe essere affida a loro, cioè alla “Società Civile”, che è formata dalle categorie che dovrebbero comprendere tutti i lavoratori ed i produttori, nonché tutti coloro che lo sono stati o che aspirano ad esserlo. Queste categorie dovrebbero essere rappresentate alla Camera dei Deputati e in tutte le istituzioni in cui si legifera. In tal modo si espanderebbe la democrazia. Ciò non significa che i partiti debbano scomparire o non essere rappresentati in Parlamento, dato che il loro ruolo di portatori di idee (se ne avessero) sarebbe indispensabile per una libera democrazia. Semplicemente la vita della nazione non può essere strangolata dai ristretti clans che li dominano. Personalmente riserverei ai partiti la composizione del Senato, che dovrebbe essere articolato in modo da tener conto della provenienza dei suoi membri e rappresentare, così, le esigenze “regionali”. Perché coloro che si arrogano l’illusoria presunzione di essere “La voce di chi non ha voce” non si danno da fare perché si affermi un sistema che dia, veramente,voce a tutti? Io, in definitiva, sono convinto che non la partitocrazia, ma la Democrazia Sociale ed Economica costituisca la difesa degli interessi e della identità dei popoli contro i poteri forti. Io, infatti, credo nel valore della identità dei popoli , che non sono affatto delle masse informi , ma hanno una loro “personalità”, che si è formata attraverso secolari progressi fondati sulle tradizioni. Perciò, detto per inciso, desidero quell’Europa che è stata concepita dai suoi Padri Fondatori per la difesa comune dei suoi popoli, delle sue regioni, delle sue diversità e della sua cultura. Più che civiltà, che rispecchia gli aspetti esteriori, pratici e tecnologici, preferisco parlare di cultura, ossia della produzione intellettuale attraverso la quale le generazioni che si sono succedute hanno elaborato i valori ed il sistema di vita che ci caratterizza e solo dal quale può partire il progresso . Una Europa che abbia un Governo che eserciti una autentica Sovranità solo per tutelare gli interessi comuni e che lasci, per ogni altra questione, ampie autodeterminazioni agli Stati aderenti. Fra questi interessi comuni ci devono essere la difesa dei diritti dell’uomo, così come sono riconosciuti dalla nostra cultura, una unica politica estera, una unica difesa, una unica politica economica e finanziaria verso i Paesi extra europei, una unica politica di tutela dell’ambiente e di sicurezza del lavoro. Mi piacerebbe anche che, oltre alla lingua nazionale e al “dialetto”, sia insegnata ai bambini una lingua comune , in modo che tutti i cittadini europei possano intendersi facilmente. Non mi piace, invece, questa Europa politicamente e giuridicamente così debole da non saper adeguatamente sostenere la sua moneta neppure in un momento tanto delicato e nella quale hanno più potere i burocrati ed i banchieri che i rappresentanti eletti dai popoli. Ciò non toglie che, pur nel quadro di una più efficace unità europea, sarei contrario ad un indebolimento dello Stato Nazionale che favorisse gli Stati più forti ed il capitalismo finanziario ed economico straniero od indigeno. Credo, infatti, che le esigenze di unità che furono alla base del risorgimento siano tuttora valide, anche se si sbagliò nel costituire uno Stato centralista. Il federalismo, che ritengo utile per la valorizzazione delle ricchezze economiche e culturali locali, deve comunque, armonizzarsi con la necessità di unità e solidarietà nazionale.