Pensioni e fregature
L'opinione di Vittorio Guillot
Il problema della riforma del metodo pensionistico si è fatto particolarmente serio a partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso tanto che già nel 1992, poiché il ritmo di erogazione delle pensioni stava diventando difficilmente sostenibile per l’invecchiamento della popolazione e per il rallentamento dell’economia nazionale, il governo italiano decise di modificare il sistema concernente sia i dipendenti pubblici che privati. In particolare, con i D.lgs 503/92 e D.lgs 29/03, comparvero i così detti moduli ‘flessibili’, con cui si offriva la possibilità di un ritiro graduale dalla attività lavorativa. Si fecero anche strada le strutture assicurative sulla vita che avrebbero corrisposto le così dette ‘pensioni private’ mediante particolari piani. Soprattutto, per quanto riguarda i pagamenti di competenza pubblica, si passò dal ‘sistema retributivo’, stabilito in ragione dell’ultimo stipendio percepito, a quello ‘contributivo’, determinato in funzione dei contributi versati dal lavoratore durante tutto l’arco della sua attività. In tal modo l’ammontare delle pensioni percepite dagli anziani sarebbe diminuito di quasi il 50%.
Sarebbero anche dovute essere eliminate le ‘pensioni di anzianità’. Con la Legge 335/95 il sistema pensionistico subì un ulteriore ritocco. Infatti venne stabilito in 6,36% il coefficiente di trasformazione, legato all’età pensionabile di 65 anni, riguardante il ‘tasso di rendimento’ da attribuire al ‘montante contributivo’. Tale coefficiente, che, fra l’atro, nel 2013 fu ridotto a 5,36%, venne stabilito seguendo criteri analoghi a quelli utilizzati dalle Compagnie di Assicurazioni. Di conseguenza le pensioni percepite, a partire da allora, hanno subito sensibili riduzioni che si cercarono di giustificare col fatto che, a causa delle aumentate aspettative di vita e della reversibilità di cui avrebbero goduto i familiari sopravvissuti, si sarebbero dovute versare somme eccessivamente alte per i bilanci statali. Si aggiunga che con la legge 214/11, denominata ‘riforma Fornero’, al posto del metodo ‘a capitalizzazione’ venne anche adottato quello a ’ ripartizione’. In altre parole, non si accantonò più l’insieme dei contributi riscossi per ciascun pensionato ma le somme cumulativamente raccolte vennero suddivise fra tutti.
Così venne causata una forte contrazione delle risorse da assegnare a chi svolgeva attività lavorative più lunghe nel tempo. Questo fatto generò forti malumori e fece sorgere dubbi di costituzionalità sul nuovo metodo perché a molti lavoratori veniva sottratta una parte consistente dei contributi che anche loro avevano versato. Per tale ragione fu presentato ricorso alla Corte Costituzionale. Con la sentenza 70/2015 la Suprema Corte ritenne che effettivamente i ‘tagli pensionistici‘ previsti da quella riforma violavano i limiti di ragionevolezza e proporzionalità tutelati dalla stessa Costituzione. Inoltre, sempre secondo la Suprema Corte, quei ‘tagli’ determinavano una ingiustificata variazione delle legittime aspettative dei lavoratori anche perché le pensioni sono ‘un prolungamento della retribuzione differita’. Anche il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti si pronunciarono in modo analogo. Il Governo attuale ha cercato di porre rimedio con la ormai celebre ‘Quota Cento’ alla situazione venutasi a creare anche a causa di queste Sentenze e Decisioni.
In pratica, anche se in via sperimentale e per soli tre anni, a decorrere dal 2019 potranno andare in pensione i lavoratori che entro il 2018 abbiano versato almeno 38 anni di contributi ed abbiano compiuto 62 anni di età. Mentre scrivo devono ancora essere chiariti molti importanti dettagli circa il nuovo regime pensionistico. Va da se che, poiché le fregature si trovano molto spesso proprio nei dettagli, occorre vigilare attentamente. Comunque, nel caso che si continui a penalizzare ingiustamente chi ha lasciato l’attività lavorativa, e vengano ulteriormente violati i principi costituzionali, magari effettuando altri tagli per far fronte a nuove spese pubbliche, anche se ispirate da malinteso assistenzialismo, sarà inevitabile ricorrere alle vie giudiziarie, meglio ancora se attraverso azioni legali di massa.