Perché credo nella Unione Europea:  malgrado tutto !

L'opinione di Vittorio GUILLOT

Perché voglio l’Europa Unita?

*Perché credo che tra i tanti popoli che la compongono, pur tra molte specificità identitarie, linguistiche e religiose, vi sia una comune cultura che passa per l’antica Grecia, per Roma, per il cristianesimo, per il germanesimo, per il rinascimento e l’illuminismo per arrivare fino a noi. *Perché credo che solo quella Unità possa dare ai suoi popoli l’energia per non decadere ed essere sopraffatti dalle forze del capitalismo delle multinazionali e delle superpotenze vecchie e nuove. *Perché non voglio che i nazionalismi dei più forti stati che la compongono soffochino quelli più deboli e, magari, facciano finire quel settantennio di collaborazione che, malgrado tutto, ha assicurato la rinascita, il progresso e la pace di un continente uscito distrutto dalla seconda guerra mondiale.

*Perché sono assolutamente favorevole ad una Europa che ponga a suo fondamento la difesa dei valori che ne caratterizzano la civiltà, che favorisca l’integrazione tra i suoi popoli e svolga una unica politica estera anche, ovviamente, per quanto riguarda gli aspetti dell’economia, del commercio e della difesa militare.

*Voglio l’Europa Unita perché solo così si può sviluppare la sinergia tra le nazioni che la compongono, nell’interesse di tutte loro. Perciò voglio una Europa in cui un Parlamento faccia, finalmente, e con votazioni democratiche ‘a maggioranza’, le leggi sulle materie di sua competenza, in cui un autentico Governo ne diriga la politica ed un vero Presidente ne garantisca l’unità e la rappresenti nel mondo. Voglio, cioè, una Europa Federale dalla quale, a differenza di quella Confederale, non sia consentito agli stati che la compongono di uscire perché verrebbe danneggiato il superiore interesse unitario, proprio di tutti gli altri stati, raggiunto con decenni di collaborazione ed integrazione.

Voglio, beninteso, una Europa in cui, al di là delle competenze ‘intercontinentali’ e di protezione dei suoi valori fondamentali, sia riconosciuta la sovranità degli stati federati perché possano difendere le loro identità specifiche e gli interessi che si esauriscono al loro interno. Evidentemente in una simile Europa avrebbero un ruolo basilare gli stati ‘nazionali’ e le autonomie locali, secondo lo schema che ho esposto in altra occasione. Voglio una Europa ‘sovranazionale’, che cerchi di soddisfare le esigenze collettive di tutti i suoi popoli ma senza giungere a omologazioni imposte da chi controlla i mercati ma, piuttosto, che favorisca gli scambi, quelli reciproci tra i suoi stati membri, tutelandone le peculiarità produttive e, con esse, le diversità antropologiche.

*Voglio una Europa che tenda a far sì che, secondo la lezione di Keynes, la spesa pubblica, anche in ‘deficit’, miri ad eliminare le diseguaglianze sociali e territoriali e ad accrescere i salari, i redditi e, quindi, la produzione, evitando che tale spesa venga indirizzata verso acquisti di beni e servizi prodotti in altri sistemi economici. Non voglio certo arrivare ad un mercato chiuso dai confini europei ma, semmai, partendo dal presupposto che la spesa ed il ‘deficit’ siano coperti con tasse ed imposte gravanti sui cittadini europei. Credo che sia giusto fare in modo che anche gli effetti positivi ricadano su quella stessa comunità e non vadano ‘fuori sistema’.

Piuttosto ritengo ‘cosa buona e giusta’ che gli accordi economici e commerciali ‘intercontinentali’ avvengano in un rapporto di equilibrata reciprocità con gli altri partners. Naturalmente ben vedrei che l’Europa Unita favorisse al suo interno gli investimenti di capitali europei. Ciò perché gli investimenti di capitali ‘extraeuropei’ non hanno un carattere additivo in fatto di reinvestimenti nell’ambito dell’Unione e, quindi, di nuova occupazione e di ulteriore produzione. Infatti la loro remunerazione generalmente viene trasferita presso il luogo in cui hanno sede suoi possessori e, quindi, fuori dal nostro Continente. Tra l’altro, in tal modo si favorisce la dipendenza economica e finanziaria, che è la premessa del domino politico e della colonizzazione culturale.

Ugualmente favorirei la immigrazione, ovviamente controllata, da quei Paesi che, magari per accordi bilaterali, preferiscono acquistare i nostri prodotti piuttosto che quelli di altri. Questa sarebbe una forma di legittima compensazione. Non dimentichiamo, infatti, anche se quegli immigrati danno un forte contributo all’attività delle nostre imprese e qui pagano le loro tasse, che con le loro ‘rimesse’ trasferiscono una grande mole di denaro nei loro Paesi d’origine. Quelle somme, quindi, non vengono spese in Europa ma entrano nel circuito economico di quei Paesi. Per quanto riguarda l’immigrazione, preciso che essa deve essere consentita se c’è la richiesta di lavoro e che, oltre al salario, deve essere garantito allo straniero anche il diritto alla casa ed ogni protezione sociale. Certamente nessuna preclusione può essere posta all’accoglienza di chi fugge da persecuzioni e guerre.

Anche da costoro, però, come da tutti gli immigrati, dobbiamo pretendere la migliore integrazione, intesa come assoluto rispetto delle nostre leggi, dei nostri valori e delle nostre usanze e come accettazione del principio che non possono impedire ai loro familiari di vivere secondo i nostri usi e costumi. Ben vedrei, piuttosto, una Europa Unita, tesa a favorire lo sviluppo dei Paesi poveri del Terzo Mondo e, spiccatamente, dell’Africa. Vorrei che questa Europa si impegnasse per eliminare certe forme di sfruttamento neocoloniale tuttora attuate da alcuni stati europei e a favorire la sicurezza e gli investimenti in quelle terre. Perciò riterrei indispensabile che tali interventi economici venissero effettuati mediante accordi che tengano conto delle reali necessità e potenzialità di quei popoli e prevedano il controllo anche della Unione Europea sulle attività che si intendono avviare e sulla redistribuzione di redditi e salari.

Aggiungo che lo sviluppo di quei popoli non solo sarebbe necessario per una questione di giustizia ma anche per eliminare alla radice le destabilizzanti immigrazioni massicce e fuori controllo, utili principalmente a chi ci specula sopra, ma dannose sia per i migranti che per chi se li vede arrivare. Alla fin dei conti, gli investimenti nei Paesi poveri sarebbero utili anche per noi europei perché il miglioramento del loro tenore di vita, favorendone le possibilità di acquisto, agevolerebbe le vendite di beni prodotti dalle nostre aziende, non solo da quelle che verrebbero delocalizzate laggiù ma anche da quelle saldamente piantate sul nostro territorio.  Si riuscirà, con le prossime elezioni, a realizzare l’Europa che ho indicato?  A me farebbe molto piacere ma non mi illudo più di tanto. Vittorio GUILLOT

6 Aprile 2019