Perchè vergognarmi di discendere da una famiglia nobile?
Un cafone, durante una riunione semi pubblica, tra le altre invettive, mi ha invitato a vergognarmi del fatto che appartengo ad una famiglia nobile. Francamente non ho mai ostentato titoli e blasoni tanto che mi ero quasi dimenticato di avere il sangue blu. Ritengo, fra l’altro, che i meriti o le colpe dei padri non debbano ricadere sui figli e penso che solo chi pensa di valer poco cerca di accrescere il proprio prestigio pavoneggiandosi delle glorie degli antenati. Perciò non ho mai aderito a circoli aristocratici. Ciò detto non mi vergogno affatto di appartenere ad una famiglia sulla cui onorabilità , da almeno 300 anni a questa parte, nessuno ha mai avuto niente da ridire. Non che tutti i miei ‘vecchi’ abbiano brillato particolarmente, tra loro, però, non ci soni stati né ladri, né strozzini, né magnacci, né assassini. Ovviamente penso che chi, per ipotesi, ha delle pecore nere in famiglia, non ha alcun motivo di soffrire di complessi di inferiorità o di colpa per ragioni a lui non imputabili. Se guardo alla vita dei miei avi vedo, comunque, che alcuni di loro hanno avuto dei grandi meriti . Perciò sarei orgoglioso di Loro anche se fossero stati dei servi della gleba. Penso a mio padre, Matteo Guillot Lavagna, che fu vice sindaco di Alghero, presidente dell’E.C.A. e membro del direttivo dell’ amministrazione dell’ospedale nei difficili anni della ricostruzione post bellica. Non solo non lucrò da questi incarichi, ma ci rimise, quanto meno perché pagava di tasca sua la benzina ed il soggiorno quando si recava a Cagliari per interesse del Comune. Allora le auto blu non erano di moda e gli amministratori non percepivano né stipendio né gettoni di presenza. Mio nonno, Vittorio Guillot Serra, presidente del tribunale di Sassari, nel 1927 lasciò l’incarico per profondi dissidi col regime fascista. Mio bisnonno, barone Matteo Guillot Simon, fu un imprenditore oleario e vinicolo molto moderno, per quei tempi, ed esportò i suoi prodotti a Barcellona, in Francia, America, Austria e Russia. Dopo aver stretto alquanto la cinghia per gli investimenti fatti, divenne fornitore di vini di zar e re e, così, fece conoscere il nome di Alghero all’estero . Finanziò di tasca sua anche i lavori del ricovero di Sant’Agostino e mantenne agli studi dei giovani di famiglie modeste, alcuni dei quali divennero ottimi sacerdoti e alti magistrati. Mio trisnonno, Francesco Guillot d’Ermillon, deputato nel primo parlamento dell’Italia unita, in occasione della carestia del 1846 distribuì gratuitamente il raccolto di grano di sua proprietà agli algheresi bisognosi. Si dirà che costoro erano dei filantropi ottocenteschi, molto benestanti, e non dei riformatori sociali. Verissimo, ma quella era la cultura del tempo e loro fecero del bene alla gente umile. Un altro mio antenato, Matteo Luigi Simon Delitala, alto magistrato del regno di Sardegna, fu un importante collaboratore di Giovanni Maria Angioi durante i moti antifeudali di fine ‘700. Morì a Parigi esule e povero. Certo, per la mentalità oggi troppo spesso ricorrente, è difficile apprezzare degli ‘imbecilli’ che, anziché sfruttare le posizioni di potere per arricchirsi ancora di più, ci hanno rimesso. Io, invece, anziché vergognarmi, sono orgoglioso di Loro, non perché fossero nobili, ma perciò che hanno fatto. Ribadisco, comunque, che i meriti sono solo loro e non miei. Mi auguro che anche i padrini politici di fronte ai quali è servilmente prostrato l’individuo che mi ha insultato, pensino, di tanto intanto, al bene comune di questa Terra.