«Più rispetto verso la nostra lingua e la nostra storia»

L'algherese Guido Sari, in una lettera indirizzata al primo cittadino, espone alcune «semplici considerazioni di carattere generale che chi amministra una città non dovrebbe trascurare»

Indirizzare al sindaco della propria città una lettera che contenga alcuni rilievi è atto che può essere frainteso, scambiato per una delle tante critiche provenienti da posizioni politiche diverse o da antipatie personali o dal gusto qualunquista di colpevolizzare sempre chi detiene un potere, grande o piccolo che sia. In questo caso, però, non vi è alcuna critica, ma si tratta di semplici considerazioni di carattere generale che chi amministra una città non dovrebbe trascurare. Sappiamo tutti che i nostri sindaci sono orgogliosi della loro città, lo deduciamo dalle numerose volte in cui lo affermano nei discorsi pubblici. Orgoglio è una delle parole che ricorrono più spesso, però anche Bellezza, Cultura, Storia vi compaiono con pari frequenza. Come non condividere tali affermazioni. E da qui appunto nasce questa lettera, come sfogo per la leggerezza con cui tali ‘frequenze’ vengono tradite nella vita quotidiana, nella ordinaria gestione della cosa pubblica. Come cittadini consapevoli del dovere di conservare le testimonianze del nostro passato, di assicurare la memoria di ciò che ha contribuito a darci una fisionomia culturale peculiare, dovrebbe preoccuparci la disinvolta superficialità con cui viene trattata a volte la nostra storia (sappiamo bene che esistono altri motivi di preoccupazione, che vi sono più concreti ed urgenti problemi di sussistenza, però qui si parla di problemi che possono essere più facilmente risolti).

In anni precedenti, con una Amministrazione di diverso colore politico, aveva deluso e fatto discutere la decisione di risotterrare un tratto del Bastione dello Sperone Reale, che alcuni intelligenti scavi di archeologia urbana avevano messo in luce: un residuo di bastione con bugnato. In realtà solo una parte minima, perché tutto ciò che della struttura cinquecentesca si elevava in altezza fu demolito agli inizi del XX secolo, eppure quel residuo di scarpa di bastione era un unicum (in Sardegna non ne abbiamo nessun riscontro) e certo meritava una soluzione che ne conservasse la visibilità. Però a quel documento in pietra della nostra storia, che poteva interferire con la realizzazione del marciapiede, si preferì l’omogeneità della pavimentazione del marciapiede (c’è da dire, però, che solo un anno prima quella stessa Amministrazione aveva restituito alla città la vista d’un tratto spettacolare di vecchia cortina muraria).

Oggi una nuova Amministrazione non sembra mostrare maggior sensibilità verso un altro bastione: quello della Maddalena. Riuscito miracolosamente a salvarsi dalle grandi demolizioni che cancellarono la fisionomia dell’antica città fortezza, il bastione della Maddalena è uno di quegli elementi che contribuiscono a caratterizzare in maniera forte la nostra città, eppure non gli si dedica l’attenzione ed il rispetto che meriterebbe. Questo autentico libro aperto, per chi volesse leggere la nostra storia anche dal punto di vista architettonico, risultò per alcuni amministratori come uno spazio vuoto che bisognava necessariamente riempire. Usato in passato come area per i calafati, destinazione legata alla pesca e quindi funzionale all’economia del tempo, divenne in seguito vittima dell’horror vacui di chi incontrava difficoltà a concepire spazi aperti in città, fu visto persino come possibile campo da tennis, iniziativa per fortuna non realizzata; adibito spesso ad area per patetici piccoli circhi di provincia; infine, poiché anche dopo gli interventi di restauro veniva percepito come spazio vuoto, si pensò di “razionalizzarne” o “ottimizzarne” l’uso inserendogli una struttura in legno e metallo con funzione di teatro all’aperto. Teatro che dimostrò fin dagli inizi di essere scomodo e poco funzionale e che oggi rivela senza infingimenti di essere un fallimento architettonico, almeno come struttura permanente, un elemento di intollerabile squallore per una città turistica come Alghero, un biglietto da visita che attesta sia l’inciviltà di coloro che trasformano l’area storica di prestigio in un immondezzaio che la mancanza di interesse da parte di chi potrebbe far rimuovere la vecchia struttura, ma non prende nessuna decisione in tal senso.

Recentemente ho visitato la mostra, nei locali restaurati dell’ex Biblioteca comunale, in cui figurano alcune serigrafie di Warhol, esponente di spicco della Pop Art. Mi aspettavo che, dopo gli scavi effettuati dall’Università di Sassari in collaborazione col Comune di Alghero -che avevano dato vita, dietro iniziativa del prof. Milanese, a delle scoperte di grande valore storico e antropologico (2008-09), divulgate grazie ad una delle migliori mostre mai organizzate in città (2009)-, si mettesse in evidenza con l’aiuto di un semplice cartello o di una lapide che sotto la pavimentazione della biblioteca era stata messa in luce quella parte dell’antico cimitero medievale di S. Michele in cui durante la peste del 1582-83 erano stati inumati in sepolture a ‘trincea’ nostri concittadini. Niente di tutto questo! Un altro documento della nostra storia, che parla di un fatto che colpì gli algheresi con tanta violenza da decimarne la popolazione e da avere ripercussioni, come sappiamo, anche in campo culturale e antropologico, non è stato ritenuto degno di essere citato o, forse, e ciò è decisamente peggio, a nessuno è venuto in mente che potesse essere utile segnalarlo.

Risulta davvero incredibile la mancata corrispondenza che constatiamo non di rado nei governi cittadini, l’attuale e quelli che lo hanno preceduto, tra alcune affermazioni di principio, o di facciata, e l’effettiva traduzione in atti concreti. Vi sono parole che funzionano come cartine di tornasole, che ci permettono di dare un giudizio, non malevolo ma obiettivo, sulla mentalità di chi ne fa un uso pubblico: una di queste è Promozione, fare Promozione. Pur di fare promozione, pur di assicurare alla città la possibilità di essere conosciuta in ambito nazionale e internazionale (finalità benemerita e condivisibile) si è disposti a far di tutto: a rendere omaggio a chi ha partecipato al Grande Fratello, per il solo fatto di aver avuto i natali ad Alghero (fatto questo che forse non sarà equiparabile al Nobel, ma che per alcuni corrispose e corrisponde legittimamente ad un concetto quantitativo della promozione); ad intestare luoghi della città a chi ha avuto il solo merito di aver usato il nome Alghero, per necessità di rima, in una sua canzone. Tali scelte dovrebbero far presupporre che esista un imperativo categorico fatto proprio dai nostri amministratori (compresi i commissari prefettizi) per cui tutto quello che può promuovere, far conoscere Alghero debba essere valorizzato, premiato, segnalato. Purtroppo non è così. O meglio non è così sempre. Infatti l’imperativo categorico si sfuma, si sfalda a causa di un progressivo impoverimento del sentimento identitario ed è condizionato per di più da condotte sociali plasmate e proposte dai mass media. Basterebbe osservare la toponomastica dove il criterio del legame con la cultura del luogo (legame tra tòpos e ònoma) a volte non viene neppure preso in considerazione, per cui troviamo in città vie intestate a persone che non hanno nessuna relazione con Alghero, ma che rappresentano unicamente culture d’ambito paesano, intestazioni probabilmente dovute alla provenienza di qualche consigliere e che sarebbe difficile giustificare come espressione di cultura in senso universale; o ancora l’eccesso di intitolazioni ad un unico personaggio, a cui si dedicano piazza e scuola; ridondanza che si contrappone all’assoluto oblio toponomastico riservato ad altri personaggi come, per esempio, Pere Català i Roca, che fu tra i promotori più attivi del secondo Retrobament. Per intenderci: se esiste un flusso turistico da Catalogna ad Alghero, a prescindere dal mezzo con cui prevalentemente si attua, lo dobbiamo in gran parte a lui, alla sua costante attività di promozione.

Però basterebbe osservare l’attenzione riservata alla lingua storica della città e alla produzione culturale in lingua per avere un’ulteriore prova della leggerezza che sottende l’uso di parole come Orgoglio, Cultura, Storia, Futuro. La lingua rappresenta un bene inestimabile che molti altri comuni, se l’avessero avuto, avrebbero valorizzato con accortezza e impegno. Noi no. Noi le dedichiamo le briciole e tutti gli interventi in suo favore sono fatti, da parte degli amministratori, con grande timidezza. Una tale timidezza che non consente, fino ad oggi, a un anno dall’elezione della nuova Giunta, di poter individuare le strategie a favore dell’algherese che il Sindaco vuol porre in campo, eppure nei suoi discorsi il Sindaco attuale ne parla in termini positivi dimostrando un interesse che si vorrebbe tanto veder realizzato in atti concreti. Ma forse questa corrosione, questo sfaldamento del sentimento identitario è l’elemento più proprio dell’attuale temperie culturale di cui i politici sono un riflesso come tutti noi. Nel mondo condizionato dai media, dai social network prevale il concetto dell’ampiezza dei circuiti culturali, non quello della qualità; domina inoltre, ed è sempre più condiviso, il concetto di visibilità a tutti i costi: chi è più visibile più vale, e chi è più visibile più si guadagna attenzioni a livello istituzionale. Lo stesso concetto di cultura viene stravolto. Infatti ciò che più appare, ciò che ha o può avere una risonanza più vasta, ha la meglio su forme di cultura meno vistose, che non offrono un’attrazione momentanea al turista o al cittadino, ma che forniscono strumenti di conoscenza non effimeri sia al cittadino che eventualmente al turista. Questo tipo di cultura, equiparabile alla scuola -capace, tuttavia, di offrire più della scuola strumenti in grado di sviluppare il senso critico-, questo autentico servizio culturale viene negletto, come dimostra la scelta di destinare i locali del Quarter e dell’ex Biblioteca comunale a spazio espositivo e non invece al servizio Biblioteca, preferendo relegare quest’ultimo in un luogo poco accessibile, in cui l’offerta culturale è dimezzata e in cui la crescita del patrimonio librario da offrire alla collettività è negata da una oggettiva mancanza di spazi.

Come cittadino che ha delegato altri cittadini all’amministrazione della sua Città, credo mio dovere comunicare tali note al Sindaco nella speranza che possano contribuire ad una migliore gestione della cosa pubblica in campo culturale o, almeno, a far conoscere un punto di vista che una parte della cittadinanza già condivide.

Guido Sari, 1 Luglio 2015