Placido Cerchi, l’ultimo discorso pubblico
Placido Cherchi ci ha lasciato. E’ una perdita enorme. Non solo dal punto di vista del suo grande valore intellettuale ma anche e soprattutto per quelle profonde doti umane e di amicizia che noi di iRS abbiamo avuto il piacere e l’onore di condividere. Siamo ancora costernati e increduli. Vogliamo intanto pubblicare per intero l’ultimo discorso pubblico tenuto lo scorso 29 luglio, in occasione della festa per il decennale di iRS. Anche attraverso la parola, Placido riusciva ad essere altamente raffinato e acuto nelle sue riflessioni. Solo nel leggere queste righe, cresce il rimpianto per tutto quello che ancora ci poteva dare.
A menzus bìdere, amigu istimadu.
L’evento che stiamo celebrando è un evento di realizzazioni molto importanti. E non mi riferisco solo a quelle cui il filmato ha dato una rapida sventagliata, cioè i fatti scioccanti plateali, che da subito hanno imposto iRS all’attenzione del popolo sardo ma anche del mondo italiano e non solo, direi anche a quello internazionale indipendentista.
Parlando dell’importanza che mi sta a cuore, aldilà di questi aspetti plateali, scioccanti, clamorosi, c’è quell’altro aspetto sottile, serpeggiante, che però ha agito efficacemente in tutto il tessuto concettuale della politica e della cultura sarda, dovuto al tipo di egemonia culturale che su alcuni temi importanti iRS ha avuto il potere di affermare, direi addirittura di imporre. Perché tra tutti i movimenti che si sono mossi nel passato e che continuano a muoversi nel presente, nessun movimento quanto iRS ha saputo mettere a fuoco con tanta capacità di penetrazione e di sintesi restitutiva, un’idea dell’identità dei sardi davvero rispondente alle necessità profonde che da tempo, se non addirittura da sempre, agitano gli animi “de sa zente nostra”.
Questo concetto di sovranità non è un concetto retorico, un concetto vuoto, un fantasma politico. È una convenzione profonda, prima di tutto un modo di essere. È all’interno di iRS che io ho capito quanto bella, quanto raffinata, quanto importante, quanto ricca sia una civiltà come la nostra. Noi non siamo caduti nello spazio del Mediterraneo, dentro quest’isola bellissima, chissà per quale vicenda mitica. Noi siamo il frutto delle civiltà più raffinate, più sottili, più pensanti, più filosofiche e più capaci di rispetto umano tra tutte quelle che si sono affacciate su questo Mediterraneo. Siamo allo stesso tempo figli, creature dell’età nuragica. Un’età che ha elaborato le forme più alte, più compiute che si conoscessero allora di comunitarismo. Siamo retaggio del mondo bizantino, vale a dire degli eredi che hanno tratto i frutti più succulenti della ricchezza della civiltà antica, quella greca soprattutto. Siamo creature profondamente imparentati con il mondo islamico, un mondo che ha saputo produrre forme di civiltà così alte, così raffinate che davvero sarebbe difficile trovare termini comparativi sul piano della storia. Noi siamo un esito di tutto questo. Siamo quello che avrebbe potuto definirsi il nord del mondo di allora. A confronto i tanti nord che si sono imposti dopo: il nord Europa, il nord lombardo-veneto-piemontese sono veramente delle cose insignificanti. Delle creazioni di piccolo e modesto livello rispetto all’altezza umana e alla profondità di quell’essere, punto di riferimento per tutte le rotte che si incrociavano nel Mediterraneo di allora.
Ecco, io ho capito che dentro iRS questo tipo di consapevolezza era più maturo, più ragionato, più ricco di argomenti che altrove. Nessun’altra posizione fra le tante, che pure si muovevano nell’ambito rivendicativo nell’isola, nessun’altra posizione davvero riusciva a dare senso compiuto, senso reale a queste consapevolezze. Allora, ecco che il tipo di proposta che iRS a poco poco è venuto facendo nelle sue azioni, nel suo modo di proporsi, nel suo presentarsi, nel suo interloquire con il mondo della politica, erano tanti semi sparsi, semi decisamente fecondi; perché all’inizio sembrava impensabile, sembrava in qualche modo utopistico il discorso sulla sovranità, sul diritto dei sardi a tornare a essere “soberanos” in terra nostra. “Eh!” Nàraiat sa zente… ma comente? Tando diat at ésser comente chi s’Italia, s’Unione Europea e totus sos àteros non ant contadu nudda pro a nois. Non est possibile. E cantu invece fit pòssibile e at incomintzadu a cumparrere cun fatzilidade? Cando sa zente at incomintzadu a faeddare su matessi limbatzu de iRS; a parlare di Sovranità. A parlare appunto di ri-conquista, di recupero delle radici profonde e del diritto a queste radici da parte di tutta una gente, che è una grande gente.
Sappiate che i sardi sono gli esseri, per quel che se ne sa, o perlomeno per quel che ne so io, sono gli essere più problematici, più “fungudos” tra tutti quelli che si muovono nella parte di mondo nella quale ci stiamo situando. Evviva iRS!
Placido Cherchi