Primarie del Pd: Valerio Meloni scrive ad Arturo Parisi
Di seguito, la lettera aperta con cui il consigliere regionale del Partito Democratico, Valerio Meloni, si rivolge all’ex ministro e parlamentare sassarese, Arturo Parisi.
Ho letto con molta attenzione un’interessante intervista rilasciata nei giorni scorsi dall’onorevole Arturo Parisi. Ho appreso che l’ex ministro e parlamentare non riesce a gioire del fatto che Sassari, la sua Sassari, sia la provincia più “renziana” d’Italia. Vorrebbe l’onorevole Parisi, sostenitore sin da presto del sindaco di Firenze, che tutti i “renziani” sassaresi gli spiegassero perché hanno cambiato idea sul suo conto. Non credo che l’ex ministro e parlamentare si rivolga esattamente a tutti quelli che, nel recente congresso, hanno manifestato la propria preferenza per Matteo Renzi come candidato alla segreteria nazionale del Partito Democratico. Al contrario penso, senza tema di smentita, di essere tra quelli ai quali si rivolge lo stimato politologo sassarese. E allora volentieri, col solo scopo di alimentare un confronto dialettico che consenta una buona volta di arrivare a parlare di contenuti, rispondo allo stimolo che indirettamente ha fornito l’onorevole Parisi attraverso quell’intervista e, in particolare, tramite quella provocazione nei confronti dei “renziani” sassaresi. Tanti dei quali, per inciso, in questi anni si sono occupati quotidianamente e concretamente del territorio e dei suoi problemi almeno quanto del partito e delle sue prospettive.
Cortesia vuole che non si risponda con una domanda a una domanda, ma data la sua riconosciuta schiettezza l’onorevole Parisi perdonerà se non bado alla forma e, per andare alla sostanza, rivolgo a lui non una, ma diverse domande. Chi ha cambiato idea? Rispetto a chi? Rispetto a cosa? Rispetto a quando?
Francamente non mi risulta che Matteo Renzi abbia concorso altre volte alle primarie per la leadership nazionale del partito che io, a livello locale, ho contribuito a far nascere pur tra mille difficoltà e a costo di affrontare un travaglio politico lungo, complesso e, proprio per queste ragioni, non ancora completato. Quando si è iniziato a parlare concretamente di Partito Democratico ero il segretario provinciale della Margherita e ho sostenuto senza indugi l’avvio di un percorso di rinnovamento che stiamo ancora affrontando. E anche quando ho lasciato la segreteria per svolgere più serenamente il mio incarico di vicesindaco di Sassari e assessore dell’Urbanistica, ho partecipato attivamente al processo di costituzione di quel partito che – per come lo immaginavo e ancora lo immagino – deve ancora venire.
Mentre qualcuno censurava quel processo costitutivo e lo bollava come antitetico rispetto all’idea di centrosinistra cui si era lavorato sino allora attraverso l’idea dell’Ulivo e dell’Unione, io ho sposato subito la causa di un partito che tentasse di rinnovare la politica, di modificare lo scenario e di favorire il ricambio tra interpreti ormai superati e nuovi attori. L’ho fatto pur sapendo che per certi versi quel cambiamento era forzato, che le condizioni complessive avevano indotto a un’accelerazione che lasciava sul campo la necessità di riformare profondamente la cultura politica di chi aderiva al Pd, creando un vocabolario comune di ideali e di obiettivi che ancora oggi è scarno, quasi tutto da scrivere. Ma l’idea di unire in un unico soggetto le più grandi forze riformiste, democratiche, popolari e di massa del Paese mi ha spinto in quella direzione. Ecco, rispetto a quell’evento e rispetto alla pressante domanda di rinnovamento da parte del Paese, scelgo di stare con chi meglio incarna – per ragioni anagrafiche e culturali, ma anche per capacità comunicative e per ambizione – quest’istanza di mutamento radicale. Perciò chiedo: chi ha cambiato idea?
Come ho già detto, non ho memoria di un’altra circostanza in cui Matteo Renzi sia stato candidato alla leadership del partito. Spesso si fa l’errore di paragonare queste primarie a quelle di un anno fa, dimenticando che allora si trattava – per un partito che aveva già un suo segretario e una sua linea politica – di scegliere chi avrebbe dovuto guidare il governo all’indomani delle elezioni politiche. Sostenere che chi ha sostenuto allora Pierluigi Bersani oggi ha cambiato idea, e sottolineare questo ipotizzato cambio repentino di giudizio come qualcosa di sospetto, mi pare profondamente sbagliato. Forse l’onorevole Parisi, a causa della sua pur lodevole decisione di non candidarsi in occasione delle ultime elezioni politiche, non ha seguito con la consueta attenzione e con la proverbiale capacità analitica i fatti politici che si sono susseguiti in Italia negli ultimi dodici mesi.
Onorevole Parisi, non è cambiato chi sosteneva Bersani e oggi sta con Renzi: è cambiato il mondo. Lo scenario politico all’interno del centrosinistra e del Partito Democracito è stravolto. Bersani non c’è più, è stato travolto da un fallimento elettorale che è al tempo stesso causa ed effetto di un fallimento politico. L’ha ammesso lui stesso con sincerità, lealtà e con quella capacità di chi sa interpretare con responsabilità la leadership che detiene. Così ha restituito a chiunque l’ha sostenuto il diritto e il dovere di guardare oltre un progetto non più valido.
Oggi l’alternativa non è tra il cambiamento e l’immutevolezza. Oggi il confronto si sposta sui contenuti, sui temi, sulle parole e, ultimo ma non ultimo, sul volto da dare a un cambiamento assolutamente ineluttabile. E Matteo Renzi – il cui progetto di governo del Paese appariva un anno fa ancora troppo fumoso, leggero e giovane rispetto all’alternativa cui il partito, guidato da Pierluigi Bersani, aveva lavorato più a lungo – oggi appare decisamente come il più credibile rappresentante di tutti coloro che vogliono che il Partito Democratico cambi davvero perché sperano che il Partito Democratico riesca finalmente a compiere la missione per cui avevamo pensato di farlo nascere: cambiare il Paese. Onorevole Parisi, ecco la mia risposta, con la quale credo di interpretare il pensiero dei tanti che hanno sostenuto – anche attraverso il consenso elettorale – il percorso politico che mi ha portato sin qui: io non ho cambiato idea.
Nei giorni scorsi è stato lo stesso Matteo Renzi, in un’intervista altrettanto interessante, a invitare di smetterla con questo sterile confronto tra “renziani” della prima ora e, per dirla come si dice a Sassari, “accudiddi”. Credo che metterci tutti al lavoro, riempiendo di contenuti quel desiderio di cambiamento che è di tutti quelli che credono nel Partito Democratico e che per questo si spendono pubblicamente, sia la cosa migliore da fare per evitare di trasferire anche nella maggioranza “renziana” del partito che verrà le divisioni, le fratture e le lotte intestine che ci portiamo appresso, come un omaggio alla memoria di una stagione politica che forse è meglio dimenticare.