Rene in provetta, l’ultima frontiera della medicina
Un gruppo di scienziati americani è riuscito laddove, fino a poco tempo fa, sembrava poter arrivare soltanto l’ottimismo e la speranza: i ricercatori del Massachusetts General Hospital di Boston hanno infatti messo a punto in laboratorio un rene che ha mostrato la sua buona funzionalità dopo essere stato impiantato nell’organismo di un animale. Lo studio è un primo importantissimo passo verso quell’obiettivo a lungo termine che potrebbe costituire il prossimo traguardo della medicina, ovvero la creazione di organi di rimpiazzo per tutti gli individui affetti da patologie renali. Una direzione alla quale guarda anche il lavoro dei ricercatori italiani del Centro Anna Maria Astori del Mario Negri di Bergamo che, appena pochi mesi fa, hanno illustrato i dettagli di uno studio che ha portato alla creazione di nefroni in vitro capaci di svolgere alcune tra le funzioni fisiologiche deputate alla filtrazione del sangue.
A tutt’oggi non esistono cure effettive per chi è affetto da insufficienza renale grave: è noto, infatti, come il solo trattamento adeguato sia la emodialisi, un procedimento in grado di rimpiazzare le funzionalità degli organi filtranti ma che richiede molto tempo e che limita fortemente la qualità della vita del paziente. L’alternativa costituita dal trapianto di rene costituisce un’opportunità che non è riservata a tutti: le liste d’attesa sono notoriamente lunghissime – in Italia come in tutto il mondo – mentre le complicazioni legate all’intervento, prime tra tutte gli episodi di rigetto che possono verificarsi nell’immediato ma anche a distanza di anni e con cronicità, hanno sempre lasciato aperta la strada alla progettazione di eventuali metodi “alternativi”. Tra questi, certamente la possibilità di ottenere un vero e proprio rene artificiale è quello in cui la scienza ripone maggiore fiducia per il futuro.
Un rene “riciclato”. Trovare una nuova fonte per organi sostitutivi, magari ricorrendo alle stesse cellule del paziente in cura: questo l’obiettivo del dottor Harald Ott, a capo del gruppo di ricerca che ha recentemente pubblicato i risultati del proprio lavoro sulla rivista Nature. Per adesso un esperimento di questo tipo è stato condotto esclusivamente su delle cavie ma i risultati positivi lasciano aperta la strada a molto ottimismo: per prima cosa Ott ha prelevato un rene dall’organismo di un ratto, poi ha applicato a questo una tecnica alla quale, già in altre sedi, si è fatto ricorso per polmoni, cuore e fegato. L’organo, infatti, è stato praticamente “lavato” grazie ad una soluzione detergente che ne ha eliminato le cellule vitali: quel che è rimasto è stata l’impalcatura tridimensionale di collagene nella quale sono state introdotte cellule endoteliali ed epiteliali, per ricreare vasi sanguigni e tessuti all’interno della struttura. Al termine di questa fase preparatoria, l’organo è stato posto in una speciale incubatrice, o bioreattore, capace di imitare le condizioni del corpo di un ratto: lì è rimasto per 12 giorni, ossia fino a quando le cellule, cresciute e moltiplicatesi, hanno restituito un rene completamente rigenerato.
Successivamente, sono state testate le capacità del primo rene riciclato in modalità high-tech: inizialmente l’organo è stato collegato ad un meccanismo che convogliava sangue e drenava urina, riuscendo nella sua operazione di “filtraggio”; poi il rene è stato impiantato all’interno del corpo di un ratto, dove ha immediatamente iniziato a funzionare senza dar luogo ad effetti collaterali gravi, sebbene con un’attività sensibilmente ridotta rispetto alla norma. I primi risultati ottenuti grazie a questo rene rudimentale fanno ben sperare i ricercatori: secondo quanto spiegato da Harald Ott, la tecnica necessiterà di ulteriori perfezionamenti ma potrebbe portare un giorno ad uno scenario ideale in cui i reni non più funzionanti (o già rimossi) potranno essere sostituiti con degli organi frutto di tale procedimento, allo stesso modo in cui oggi si impiantano organi provenienti da altri esseri umani. Inoltre, la possibilità di ricorrere in futuro a cellule provenienti dallo stesso organismo del paziente potrebbe eliminare del tutto l’obbligo nel trapiantato di dover assumere farmaci immunosoppressori per il resto della propria vita, evitando non solo il problema del rigetto, ma anche quello degli effetti collaterali legati ai medicinali.
La complessa fisiologia ed anatomia del rene, caratterizzato dalle sue diverse cellule deputate a funzioni estremamente differenti, rende di fatto assai difficile la replicazione dell’organo in laboratorio: per tale ragione gli stessi scienziati che hanno lavorato al progetto, pur orgogliosi dei propri risultati, sottolineano come i reni bioingegnerizzati disponibili per gli uomini sono una realtà ancora molto distante. Eppure, oggi, quel traguardo che potrebbe restituire funzioni renali (e non soltanto) a migliaia di individui costretti ad emodialisi ed attese infinite (nel nostro Paese sono circa 45000 secondo i dati dell’istituto Mario Negri) sembra essere un po’ più vicino.
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