Riformismo, rivoluzione o morte della nazione?
L'opinione di Vittorio Guillot
Io, come ho anche scritto in altra occasione, condivido le critiche dei ‘grillini’ al sistema partitocratico. Critiche che, a ben vedere, non sono solo dei grillini. Penso, addirittura, che la partitocrazia, forse contro la intenzioni di molti Padri Costituenti, trovi le sue radici nella stessa Costituzione Italiana, che dovrebbe essere profondamente modificata. Il fatto che questo strapotere dei partiti, che ha praticamente annullato la divisione di Montesquieu delle tre funzioni pubbliche (politica, amministrativa e giudiziaria), sulla quale dovrebbe articolarsi la vita di uno stato moderno e democratico, non sia mai stata neppure sfiorato dal sospetto di ‘incostituzionalità’ , mi radica in questa convinzione.
Potrei essere grillino, quindi, per quanto riguarda la ‘ pars destruens’. Non lo sono affatto per ciò che concerne la ‘pars construens’ perchè ritengo che le loro proposte di cambiamento del sistema siano insufficienti e, addirittura , pericolose per la democrazia. Penso, comunque, che una classe dominante, quale quella che controlla i partiti e, tramite essi, l’intera vita nazionale, politica e non solo politica, non rinunci spontaneamente al potere ed ai privilegi. Lo fa solo ‘spintaneamente’, ossia se c’é una spinta dal basso. Questa spinta, però, deve essere orientata e guidata da persone, diciamo pure da una élite, che abbiano la capacità di individuare gli interessi, le esigenze e i sentimenti delle masse, sappiano darne risalto e valore , ne abbiano la fiducia e godano, presso di esse, di un grande prestigio, magari carismatico (leggere: Le Bon – Psicologia delle masse).
E’ quanto si è verificato in tutte le rivoluzioni, a cominciare da quella francese a quella russa. In certi Paesi, come l’Inghilterra, che pure nella loro storia hanno conosciuto guerre civili e rivoluzioni, col tempo, le classi dominanti più intelligenti, il più delle volte hanno saputo ascoltare i malumori della gente e, rinunciando a molte loro prerogative e privilegi anacronistici ed ingiustificati, hanno effettuato delle riforme in favore delle esigenze popolari. La vita pubblica, così, si é costantemente ammodernata, rinnovata ed adeguata ai tempi, garantendo la funzionalità ed il progresso sociale e, in definitiva, ha favorito il generale attaccamento popolare alle istituzioni stesse ( leggere: Burke- Riflessioni). Io preferirei di gran lunga un profondo riformismo ad una rivoluzione. Le rivoluzioni, infatti, oltre a costare molto care in fatto di lacrime, sangue e sacrifici, non si sa mai dove vanno a parare. Si trascinano dietro odi e risentimenti difficili da comporre e dannosi per la convivenza nazionale e spesso conducono ad un sistema ancora più tirannico e catastrofico del precedente.
Il fatto è che troppe volte le ‘ classi dirigenti’, assolutamente insensibili alle esigenze delle masse, tendono a stabilizzare i propri privilegi intrecciando le reciproche posizioni di potere . In tal modo formano dei blocchi che condizionano la politica, la formazione delle leggi e persino la loro applicazione. Preciso che fanno parte di quelle consorterie non solo i politici ma anche gli intellettuali ‘organici’, molti magistrati, burocrati, giornalisti, industriali, finanzieri e non escluderei affatto qualche alto militare. Questi potentati impediscono la soluzione dei problemi, rendono perpetue le inefficienze e le ingiustizie, che, anzi, col tempo si incancreniscono ed assumono dimensioni e peso sempre più grandi fino a diventare intollerabili ed esplosive. La destra politica, che per parecchi anni ha governato l’Italia in stretto rapporto con i faccendieri, mezzani di quelle oligarchie, non ha certo contribuito a rompere la cappa di piombo che queste hanno posto sulla vita nazionale. D’altra parte non hanno assolto questo compito neppure i sindacati di regime né la sinistra che, malgrado le contrapposizioni di facciata , ha ‘inciuciato’ pesantemente per non smuovere quelle ‘posizione di potere’ da cui ha tratto i suoi vantaggi.
In tal modo gli incarichi pubblici non vengono affidati in funzione delle capacità e dei meriti ma della appartenenza al potentato dominante. In tali situazioni, in Pesi ‘normali’, prima o poi si arriva allo scoppio di travolgenti rivoluzioni. Le responsabilità di simili politici e dei loro complici sono, quindi, enormi ma, purtroppo, penso che sia persino inutile scriverne perché niente può allontanarli dalla loro miope ingordigia. Da ‘uomo di destra’, come mi ha definito un ‘ sinistro’, non dubito che, invece, occorra rompere la cappa della partitocrazia, e, nell’interesse sociale, valorizzare i meriti attribuendo gli incarichi di maggior rilevanza e prestigio a chi mostra maggiori capacità e competenze. In questo quadro ritengo che lo stato si dovrebbe impegnare, anche attraverso la scuola, per mettere sulla stessa linea di partenza tutti gli uomini e le donne, aiutando senza ombra di dubbio quelli provenienti dai ceti sociali più poveri a superare le situazioni di svantaggio iniziale ma anche selezionando e valorizzando i più capaci.
Ovviamente, in tutti i campi, la maggiore responsabilità ed il maggiore impegno dovrebbero essere premiati anche con maggiori guadagni, che consentano maggiori agi. Questo è, sicuramente, un linguaggio di ‘destra’, anche se non sono affatto favorevole alle mastodontiche differenze tra salari troppo bassi e rendite, stipendi e prebende a volte giganteschi, imposti, il più delle volte, e in loro favore, dagli oscuri maneggi delle consorterie a cui ho fatto cenno. Tra l’altro, da keynesiano di bassissimo livello quale penso di essere, credo che la maggiore propensione alla spesa per fronteggiare le necessità di vita quotidiana di chi ha entrate più basse , favorisca i consumi e la maggiore produzione di beni e servizi. Conseguentemente favorisce prestazioni di lavoro e, quindi, la formazione di redditi, a tutto vantaggio dello sviluppo economico e di un benessere diffuso. Credo anche nella ‘economia sociale di mercato ’ in cui, cioè, la libertà di iniziativa e di impresa sia tutelata, difesa e stimolata nel quadro dell’interesse generale individuato dalla Politica.Questa deve guidare l’economia, purché sia espressione della volontà delle componenti sociali, espresse attraverso la loro rappresentanza in seno alle istituzioni legislative.
La partecipazione popolare alla vita pubblica che potrebbe essere garantita da questo ‘Corporativismo Democratico’ e la conseguente presenza di tutte le categorie sociali nelle Istituzioni Legislative, a mio avviso ostacolerebbe enormemente gli accordi più o meno occulti, impropriamente definiti ‘corporativi’, fatti dalle consorterie sulla pelle della gente . La partitocrazia , il clientelismo ed i favoritismo, invece, non producono nessuno di questi benefici. Comunque, tranquilli; in Italia non succederà nessuno sconvolgimento, tanto meno una rivoluzione, almeno non in un futuro immediato. D’altra parte agli inizi dello scorso secolo anche il vecchio Nitti disse: ‘In Italia non si fanno rivoluzioni, si fanno discorsi’. Io avrei detto…. chiacchiere. E chiacchiere sono anche quelle che ora sto facendo io qui. Aggiungo che sono chiacchiere che, forse, non hanno senso soprattutto perché non tengono conto che l’arrivo di masse umane di mentalità totalmente diversa dalla nostra potrebbe stravolgere completamente la popolazione di questo Paese.
Perciò ragionare con i nostri schemi è assolutamente vano… Non vedo, comunque, nessun uomo né nessuna élite che sappia tirar fuori il Paese dalle secche in cui è incagliato. Lo stesso Grillo mi pare più un Ciceruacchio che un Lenin . Infatti, se non si cambia la Costituzione e non si taglia l’erba sotto ai piedi alle oligarchie che dominano partiti e Stato, le riforme che si stanno facendo non potranno essere altro che dei palliativi ed ad esse si potrebbe applicare senza alcun dubbio la frase del Gattopardo: ‘ cambiano tutto, perché tutto resti tale e quale’. L’Italia, così temo, decadrà sempre più e l’arrivo di incontrollate masse di immigrati ne aumenterà i problemi, l’instabilità e la decadenza. Decadrà fino ad estinguersi, come l’ultima particella di materia-energia che si esaurirà nel nulla, alla fine dei tempi. Solo che a distruggere il nostro Bel Paese non sarà l’Entropia, ma il cannibalismo della partitocrazia.