San Giovanni: quando anche i preti saltavano i fuochi

«Quisquis ergo tale quid fecerit, si sit quidem Clericus, deponatur, sin autem Laicus, segregetur» («Quindi, chiunque abbia fatto una cosa del genere, se canonico sia deposto, se laico messo al bando»). Così deliberava il Concilio di Trullo alla fine del VII secolo: chiunque avesse fatto quella cosa, doveva essere punito. E poco importava se prete o contadino. Anzi. Ma di quale peccato – e reato – si macchiavano, laici ed ecclesiastici insieme, che faceva così infuriare le alte gerarchie di Costantinopoli? Semplice: saltavano i fuochi, ad ogni luna nuova, con la speranza di buoni auspici. La tanto vituperata consuetudine altro non faceva che riprendere quella dei pastori di età romana durante le feste deiParilia, nate ancora prima dell’Urbe. Tutto molto interessante: ma San Giovanni? Cosa c’entra?

Non è un caso che il giorno natale di S. Giovanni sia l’unico – insieme a quello di Cristo – che la Chiesa festeggia nel suo calendario. E non è nemmeno un caso che le due celebrazioni corrispondano alle feste del solstizio d’estate e al solstizio d’inverno: si inseriscono, infatti, in un sostrato comune di religiosità pagana. Sostrato che il cristianesimo ha combattuto sin dai suoi albori. Il riferimento va, appunto, alle due festività solstiziali romane: Fors Fortuna il 24 giugno e Sol Invictus il 25 dicembre. In più, proprio il 24 giugno, era indicato nel calendario romano come «Solstitium», «Lampas» o, addirittura, «dieslampadarum». Una festa fortemente incardinata nel culto solare, quindi, che univa varie regioni dell’Impero (provate a viverci voi, senza energia elettrica: il sole diventerà il vostro dio preferito dopo qualche giorno). In più, proprio il culto solare viveva – e si giustificava – grazie a fondamenta fortemente connesse alla vita agricola: basti pensare che, proprio il 24 giugno, i Romani inauguravano la mietitura del grano. La notte del solstizio estivo risultava quindi un punto centrale, cruciale e fortemente simbolico per la vita, la salute e il futuro della plebe contadina.

È ovvio che i padri della Chiesa, tra IV e V secolo, si ritrovarono a fare i conti proprio con tali dense e profonde sacche di paganesimo difficili da estirpare, soprattutto nelle zone più isolate e fortemente condizionate da un’economia agropastorale legata alla terra. E qui entra in gioco San Giovanni. Proprio nel Vangelo attribuito al Battista, infatti, si legge: «Illum oportet crescere, meautem minui» («Egli – Gesù – deve crescere, io, invece, diminuire»). Il resto lo fa Agostino da Ippona, a cui va il merito di aver per primo interpretato la frase per giustificare storicamente le due festività: il crescere di Gesù ha inizio in corrispondenza del solstizio d’inverno, proprio quando le giornate cominciano ad allungarsi; il decrescere di Giovanni corrisponde, guarda caso, proprio al solstizio d’estate, quando le ore di luce cominciano a diminuire. Agostino fu un genio, per questo e tanto altro.

Certo, per annientare il culto solstiziale – e tutta la galassia di riti che lo accompagnava – non sarebbe bastato. Numerose, nel corso dei secoli, sono le attestazioni di ecclesiastici i quali, furibondi e allo stesso tempo sbalorditi, si meravigliano di come il sostrato pagano fosse difficile da sradicare dalle «durae mentes» (cit. Papa Gregorio Magno, 540-604 d.c.) di contadini, pastori e, più in generale, del «popolino di sciocchi» (cit. Padre Paolo MariaPaciaudi, 1710-1785). Sarà proprio Paciaudi, nel ‘700, a constatare il totale fallimento della politica di repressione applicata dalla Chiesa nel corso dei secoli, inaugurando una nuova fase di assorbimento e incorporamento degli inestirpabili riti pagani che, alla luce di quanto accadrà – anche ad Alghero – la notte del 23 giugno, è risultata sicuramente più efficace.

Il perdurare dei riti precristiani è spiegato magistralmente dalLanternari: «Le condizioni di inerme soggezione alle avversità naturali e sociali, da cui nel culto di S. Giovanni il popolino tenta – entro una sfera mitico-cultuale – di rivelarsi, rientrano implicitamente, per la Chiesa, nell’ambito di quell’ignominioso utilitarismo da cui essa scandalizzata rifugge». Una concreta e pratica ragione utilitarista, quindi, è stata lungo i secoli alla base di tutto. Oggi, invece, la festa di San Giovanni è diventata un’occasione per attirare religiosi, curiosi, turisti. E quindi, non è più così.

Ignazio Caruso, 20 Giugno 2014