«Sbarchi rifugiati, un disastro da affrontare come comunità»

L'opinione di Stefano Lubrano, presidente di Patto Civico Alghero

La questione dei rifugiati fà comprendere chiaramente come gli eventi internazionali si scarichino sulla nostra vita quotidiana. Non basta vivere migliaia di km da dove guerre, fame, terrorismo, malavita costituiscono il quotidiano per milioni di persone. Oggi siamo sotto scacco da parte di una situazione internazionale che scarica sulle nostre coste migliaia di persone ad un ritmo travolgente; questa onda si abbatte sulle nostre realtà giorno dopo giorno. Non abbiamo barriere per opporci a tutto questo, non ci sono provvedimenti determinanti né da parte del nostro governo né da parte della comunità internazionale, vedi UE e grandi potenze; da questi ultimi anzi riceviamo, in sostanza, un pessimo messaggio: “arrangiatevi”. Non vale essere fra i principali contribuenti a livello europeo, secondo alcune stime infatti, dal 2000 al 2013, l’Italia ha versato al bilancio Ue 64,7 Miliardi in più rispetto alle somme accreditate all’ Italia dalla stessa Unione Europea (fonte database AMECO), nè valgono le devastanti tragedie di morti in mare; gli amici europei ci hanno lasciato con il cerino in mano. Dobbiamo quindi arrangiarci. Gli sbarchi negli ultimi anno sono più che decuplicati a fronte di strutture di accoglienza immutate e con capacità di accoglienza sempre più scarse. Osservando questa situazione dall’alto si nota il disegno non solo criminale ma anche geopolitico di scardinare le difese di un sistema come l’UE attaccando il paese più esposto, l’Italia, con un’arma devastante: le vite umane.

Non solo chi ha in mano il traffico di persone, perché di questo si tratta, non spende nulla per “armarsi”, addirittura lucra milioni di euro e si autoalimenta. Sentiamo parlare di soluzioni drastiche come affondare i barconi nei porti di partenza e cose simili; ci chiediamo come mai con tutto il mondo soggetto a controllo dei vari servizi di informazione governativi l’UE ed i suoi alleati non siano in grado di mettere in piedi una task force per colpire queste organizzazioni; non parliamo solo di interventi “militari” ma anche diplomatici, economici e di intelligence. Stentiamo a credere che non vi siano all’attenzione dei “potenti” modalità per dare soluzione a questo problema. La natura criminale di tutto questo ha pesantemente contagiato il nostro paese; non parliamo di “infiltrazioni” di terroristi o di persone che tendono a delinquere, parliamo delle motivazioni lucrative di questa tratta umana che ha avuto modo di attecchire ed espandersi in maniera virulenta nel nostro paese. Persone senza scrupoli nascoste dietro facciate quali associazioni onlus hanno contribuito al propagarsi dell’idea di far soldi letteralmente sulla vita umana diffondendo questo male fino alle istituzioni, pare, fino a membri del governo nazionale. I danni sono devastanti: viene incentivato il business del traffico di vite umane a monte, si moltiplicano le morti in mare, si sviluppa un business nauseante sulle condizioni di vita giornaliere di chi riesce ad arrivare nel nostro paese, si mortificano e infamano quelle persone che ogni giorno danno tutto se stessi nella propria azione di volontariato, delle associazioni che hanno come proprio obiettivo la salvaguardia della vita umana, del personale della nostra guardia costiera e marina impegnati H24 nel canale di Sicilia, si crea un profondo disagio in seno alla comunità di un paese che si sente impotente di fronte a tutto questo.

Questi sono gli effetti tremendi immediatamente visibili a noi tutti; vi sono poi quelli forse ancor più pericolosi perché minano alla base la nostra struttura sociale, la nostra comunità. Ogni giorno leggiamo appunto degli sbarchi, delle morti in mare, delle strutture di accoglienza al collasso, delle regioni che litigano con il governo, dei prefetti che intervengono; tanti di noi hanno pensato “meno male non vivo là” rivolgendo il proprio pensiero a Lampedusa o a quei comuni che hanno organizzato i grandi centri di accoglienza. All’improvviso però noi tutti scopriamo che “là” ci viviamo anche noi. Uno, due, tre strutture vengono utilizzate per accogliere 50, 90, 200 persone. Non possiamo far finta che non sia accaduto nulla; dobbiamo spegnere l’ennesimo cerino fatto girare da altri e provare noi, comunità, ad agire. Non è facile, non è per niente facile. In primo luogo occorre essere impermeabili al continuo martellamento mediatico nazionale, tutto politico e assolutamente interessato, di chi oggi aizza istituzioni le une contro le altre e cerca di insinuare nelle persone la rappresentazione di un nemico accolto in casa.

Occorre comprendere le motivazioni per cui queste persone sono scappate da casa loro, alcuni per ragioni politiche, altri per ricongiungersi a propri familiari che si trovano nei diversi paesi dell’UE, altri infine per mere ragioni di sopravivenza. Nei primi due casi si tratta di un periodo di soggiorno limitato nel tempo, e il governo italiano, così come i governi a livello europeo, devono velocizzare l’evasione delle pratiche di richiesta asilo. A livello locale occorre dare alla comunità un chiaro segnale che tutto ciò che viene fatto ad Alghero è perfettamente in linea con motivazioni umanitarie e non affaristiche. I casi da mafia capitale alla gestione del CARA di Mineo in Sicilia sono troppo eclatanti per ignorarle. Occorre una decisa comunicazione delle istituzioni locali ed ecclesiastiche per tener ben salda la comunità. Non può passare l’idea di un progressivo diffondersi del malcontento della popolazione locale che, vivendo di per sè una crisi epocale economica ed abitativa, trovi occasione di scaricare su questo fenomeno tutte le proprie paure, i propri problemi; in questo l’amministrazione comunale deve guardare alla dignità di tutti non solo di chi viene accolto.

Pensiamo sia davvero positivo l’intervento del vescovo Monsignor Morfino nel mettere a disposizione locali della diocesi; crediamo sia importante chiamare a raccolta tutti coloro i quali possono contribuire con donazioni di suppellettili; chiediamo venga attivato un gruppo di lavoro ed un numero di telefono con cui coordinare non solo le associazioni direttamente coinvolte nell’assistenza quotidiana dei richiedenti asilo ma anche per organizzare e definire attività che vadano oltre ciò che viene fatto dentro i centri; tutto ciò che possa servire per includere, anche per lo spazio limitato della loro permanenza nella nostra Città.

Stefano Lubrano, 17 Giugno 2015