“Vi piacciono i cotiglioni o preferite il bail in, belin, per gli amici?”

L'opinione di Vittorio Guillot

Qualcuno mi ha detto che è fuori dal tempo parlare e scrivere nelle lingue locali e nei dialetti. Non sono d’accordo. La parola, infatti, non è un semplice ‘flatus vocis’, un respiro, un suono, come lo è un belato o un cinguettio, che mostrano, al massimo, una emozione, una necessità, un istinto.  La parola manifesta sempre una idea, un concetto astratto e le frasi, la grammatica, la sintassi e le espressioni idiomatiche esprimono  il modo in cui quei concetti vengono sviluppati, adattati, modellati e vissuti dalle diverse culture. La parola, quindi, è la espressione di una cultura, forse la più evidente ed immediata, e questa, a sua volta, è la ossatura con cui un popolo afferma  la sua identità, con cui affronta il mondo razionalmente, nel periodo storico in cui vive ed evolvendo continuamente grazie alla intelligenza umana.

Difendere le lingue ed i dialetti, in definitiva, significa difendere la cultura ed il popolo che vi si identifica mentre negargli il diritto ad esprimersi ed a vivere secondo la propria identità è un crimine commesso sia dall’ internazionalismo cosmopolita che dal nazionalismo imperialista. A essi piacerebbe sicuramente imporre la ‘neolingua’ di orwelliana memoria, creata a loro immagine e somiglianza. Perciò trovo anche dannoso imbastardire le lingue introducendovi inutilmente  parole straniere.  Però l’uso di queste parole lo trovo giustificato quando si tratta di esprimere fatti, cose e situazioni concepiti in altre culture e con altre lingue. Ad esempio, mi viene difficile,che, anche quando si parla in italiano od in algherese, si usino   espressioni  diverse da ‘computer’ o ‘big bang’. Trovo, invece, addirittura ridicolo usare il termine ‘cotiglioni’, tanto caro al purismo fascistico, anziché ‘cotillons’.  

Al contrario, mi sembra assolutamente negativo usare parole straniere come ‘flat tax’, ‘default’, ‘job act’, ‘bail in’, belin, per gli amici, ed altre centinaia di simili, se nelle nostre lingue abbiamo già le parole che indicano quelle idee. Forse che, usando espressioni che molti, come me, non capiscono si vogliono solo confondere i cittadini? Io questo modo di parlare ‘misterioso’, direi arcano, lo ritengo offensivo verso i tanti italiani che non conoscono l’inglese. Pare quasi che l’élite di ‘color che sanno’ usi dei termini ‘iniziatici’ perché per la sua supponenza è inutile farsi capire dalla gente  comune. Forse che solo gli esoterici accoliti di quelle lobby ritengono di saper guidare infallibilmente il destino di tutti verso un radioso futuro?  Forse è per questa ragione che solo pochi possono capire con precisione persino il telegiornale ed i discorsi dei nostri politici? O forse, come un certo don Abbondio, dato che non sanno che pesci prendere, giornalisti e politicanti  cercano di nascondere la loro nullità dietro tanti incomprensibili paroloni? Mi chiedo, soprattutto, perché vogliamo appiattire le nostre culture su quelle di altri? Ci rendiamo conto che questo appiattimento è profondamente colonialista perché ci porta a ragionare come vogliono i padroni del vapore, nel loro interesse, non certo nel nostro?  

Questo discorso vale non solo per le lingue nazionali ma anche per quelle ‘locali’ ed i dialetti, la cui perdita è sempre un impoverimento sociale.  Qualcuno mi potrebbe replicare: ‘Tu, però, ora stai scrivendo in italiano, stai forse rinnegando la tua lingua algherese?’ Direi proprio di no.   Io, infatti, non ho mai avuto niente in contrario a scrivere qualcosa ed a parlare in algherese con gli algheresi. Ciò che scrivo ora, però, non è diretto solo agli algheresi ma ad un più vasto gruppo di amici. Aggiungo che il mondo non finisce con i confini del mio comune e, pertanto, è giusto e naturale avere scambi con ogni genere di persone che non conoscono la mia lingua ‘locale’ e quella ‘nazionale’. Evitare questi rapporti sarebbe un suicidio. Ciò mi spinge ad essere anche favorevole alla conoscenza delle lingue straniere. Insomma, credo che la armonia tra tutte le lingue sia non solo possibile ma utile e doveroso. Purché sia attuata nel reciproco rispetto . 

Vittorio Guillot, 8 Maggio 2020